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Caffè Bardi, qualche ‘chicca’ svelata dal nipote Mario

Come immaginare un bar arredato in maniera elegante frequentato da decine di artisti di diverse discipline ma in prevalenza di pittori. Questo era all’inizio del ‘900 il “Caffè Bardi” di Livorno (1909-1921) gestito da Ugo Bardi, in piazza Cavour.

Ugo Bardi accolse nei suoi locali molti pittori livornesi e li coinvolse genialmente nell’arricchire con le loro opere le colonne e le pareti del locale, così come mi hanno sempre raccontato le figlie Anna e Giovanni e il figlio Bardo (1901-1975), ossia mio padre.

Di Mario Bardi

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Come immaginare un bar arredato in maniera elegante frequentato da decine di artisti di diverse discipline ma in prevalenza di pittori. Questo era all’inizio del ‘900 il “Caffè Bardi” di Livorno (1909-1921) gestito da Ugo Bardi, in piazza Cavour.

Ugo Bardi accolse nei suoi locali molti pittori livornesi e li coinvolse genialmente nell’arricchire con le loro opere le colonne e le pareti del locale, così come mi hanno sempre raccontato le figlie Anna e Giovanni e il figlio Bardo (1901-1975), ossia mio padre.

Tutti i maggiori pittori a cavallo tra l’‘800 e il ‘900, tra questi anche il giovane Amedeo Modigliani, furono i frequentatori assidui del locale. Tra le opere appese nelle colonne e nelle pareti del locale facevano bella mostra “Il Lazzaretto” di Mario Puccini, “Il servito da the”

     di Corrado Michelozzi, “Palazzo a Venezia” di Renato Natali, “Scena indiana” di Olinto Ghilardi, “Varie lunette” di Corrado Michelozzi, due opere a carboncino di Mario Puccini.

Quando si entrava in quel locale, si era travolti non solo dal piacevole forte aroma di caffè, di cioccolato, di pasticceria, ma anche da un sottofondo di trementina trasmessa dagli abiti e dalle mani dei pittori presenti che arrivavano direttamente dai loro studi.

Oltre ai particolari profumi, il “Caffè” era un luogo di acceso scontro e confronto verbale tra gli artisti, ognuno con la sua personale arte da difendere e spiegare.

Il “Caffè Bardi” nacque nel 1909 al pian terreno del centralissimo Palazzo Taddeoli (all’angolo, appunto, tra piazza Cavour e via Cairoli) e nel 1921 fu obbligato a chiudere perché il locale fu ceduto dai proprietari - i conti Chayes, Vittorio e Rodolfo - al Banco di Roma che ben presto lo volle libero per aprirci la sede di Livorno.

Molti hanno scritto, scrivono e scriveranno del “Caffè Bardi” di mio nonno Ugo Bardi, divenuto famoso quasi come il prestigioso “Caffè Michelangelo” di Firenze (1848 - 1861), quartier generale dei macchiaioli, nel quale Renato Fucini declamava i suoi sonetti fra l’ilarità generale, insieme all’amico Edmondo de Amicis, ma è la prima volta che un erede - il sottoscritto, Mario Bardi - scrive dello storico “Caffè” con i ricordi di famiglia.

Mio nonno era un grande imprenditore ed oltre al caffè di piazza Cavour, acquistato dalla famiglia svizzera Corradini, aveva avviato altre importanti attività commerciali a Livorno: il Bar Portorico, in via Vittorio Emanuele 55, l’Universal Bar, in via Vittorio Emanuele 14, e la innovativa Drogheria-Coloniali, in via Magenta 74, come risulta dalla raffinata carta intestata del “Caffè” commissionata, con lungimiranza, ad un personaggio nel tempo divenuto un grande artista e cartellonista, come Leonetto Campiello.

Ugo Bardi aveva anche iniziato nel retro del “Caffè” a produrre liquori.

La storia di famiglia racconta che Ugo, venuto a conoscenza che il locale del suo esercizio era stato messo in vendita, stava accantonando la somma per acquistarlo ma fu anticipato, per poche ore, dai funzionari del Banco di Roma

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Mio nonno era un grande imprenditore ed oltre al caffè di piazza Cavour, acquistato dalla famiglia svizzera Corradini, aveva avviato altre importanti attività commerciali a Livorno: il Bar Portorico, in via Vittorio Emanuele 55, l’Universal Bar, in via Vittorio Emanuele 14, e la innovativa Drogheria-Coloniali, in via Magenta 74, come risulta dalla raffinata carta intestata del “Caffè” commissionata, con lungimiranza, ad un personaggio nel tempo divenuto un grande artista e cartellonista, come Leonetto Campiello.

Ugo Bardi aveva anche iniziato nel retro del “Caffè” a produrre liquori.

La storia di famiglia racconta che Ugo, venuto a conoscenza che il locale del suo esercizio era stato messo in vendita, stava accantonando la somma per acquistarlo ma fu anticipato, per poche ore, dai funzionari del Banco di Roma

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