‘Cavalleria Rusticana’ e la bega giudiziaria.

31 Gen 2024 | Autore: Luciano Canessa, IN EVIDENZA, IN PRIMO PIANO, STORIA

Il capolavoro musicale “Cavalleria Rusticana” del Maestro Pietro Mascagni fu contaminato da una bega giudiziaria con Giovanni Verga, autore del dramma omonimo che aveva fatto registrare un buon successo letterario, bega che durò tre anni.

Lo scrittore siciliano aveva già ceduto al musicista torinese Stanislao Gastaldon il diritto di musicare un rifacimento della sua opera con versi del poeta Bartocci Fontana, avente titolo Mala Pasqua, ma la questione con Mascagni e la Casa Musicale Sonzogno arrivò in Tribunale.

Giovanni Targioni Tozzetti, autore con Guido Menasci della riduzione a libretto di “Cavalleria Rusticana”, aveva ricordato all’amico Pietro di chiedere il beneplacito al Verga in quanto quella formalità legale era indispensabile, ma Mascagni, assorbito dalla stesura dell’opera inizialmente e poi da altre incombenze intorno alla composizione stessa, non si era curato molto di quell’adempimento, aveva però pregato l’amico giornalista livornese Giannino Salvestri di occuparsi della questione.

Il Salvestri disse che si poteva aspettare a richiedere il benestare del Verga, tra l’altro suo amico, almeno fino alla proclamazione delle opere premiate, perché il concorso era a schede chiuse, perciò non c’era fretta. Tuttavia il Salvestri non seguì con serietà la questione, almeno per quel che emerge dagli atti arrivati a conoscenza, tanto da mettere Mascagni nei guai.

Ma andiamo avanti. Il 28 maggio 1889, dalla sperduta Cerignola dove viveva, Mascagni scrisse al Tozzetti e al Menasci di avere inviato lo spartito e il libretto alla sede del “Concorso Sonzogno”, a Milano, dicendo che aveva avuto il consenso del Verga, ciò che non corrispondeva al vero. Ecco cosa scrisse: “Alle 3 tornai a casa e detti gli ultimi tocchi alla nostra Cavalleria; feci mettere un cordoncino nella riduzione per canto e pianoforte, e ci adattai il vostro libretto in maniera che può facilmente togliersi… Quindi preparai le buste suggellate… scrissi l’intestazione e aggiunsi sotto: col consenso del Verga. Come vedete ho pensato a tutto. Alle 6 di ieri sera spedìì l’opera a mezzo di posta raccomandata. Pesava K. 2,800. Speriamo

che ci frutti K. 2.800 di biglietti da mille. Del resto, se lo volete vi posso mandare una copia del libretto trascritto da me; e qualora ci si trovi qualcosa che a voi non piace, se ne può mandare un’altra copia… Stanotte non ho dormito: alle 5 e mezzo stamattina ero in piedi, mi sento affaticatissimo”.

Giova ricordare che Mascagni finito il “primo getto” dell’opera procedette alla partitura completa, cioè alla partitura per grande orchestra, poi alla riduzione “per canto e pianoforte”. Fu sul punto di abbandonare tutto come scrisse nella lettera del 28 maggio 1889 e comunque, essendo a pochi giorni dalla scadenza del termine di presentazione del melodramma, decise di copiare lui stesso il libretto scritto da Tozzetti e Menasci, quindi i due letterati livornesi citati non poterono curare in buona copia il testo poetico e di fatto ignoravano le condizioni in cui fu spedito.

In una lettera del 27 giugno Mascagni, a fronte del silenzio da Livorno, scriveva: “…vi prego di togliermi il dubbio della V/ collera verso di me, vi giuro che il libretto lo mandai in buonissime condizioni”.

Mascagni solo dopo che fu chiamato a Roma per eseguire la sua opera al pianoforte capì che la propria “Cavalleria” aveva buone probabilità di essere inclusa nella terna vincitrice.

Il 6 maggio 1890 i Commissari del Concorso Sonzogno (G. Sgambati, F. D’Arcais, F. Marchetti, A.Galli, P. Platania) individuarono le tre opere da presentare al pubblico e cioè Labilia di Nicola Spinelli, Cavalleria Rusticana di Mascagni e Rudello di Vincenzo Ferroni. Eseguite le tre rappresentazioni in teatro (Teatro Costanzi), come stabilito dal bando di concorso, la commissione pose “Cavalleria Rusticana” al primo posto e all’annuncio Mascagni fece seguire telegramma ritrovato nelle carte del Menasci: “Targioni – Casone 10 – Livorno. Esito Cavalleria insuperabile. Verga assisteva allo spettacolo. Fecemi vive felicitazioni musica e libretto. Deplorata assai vostra assenza. Mascagni”.

A quel momento la questione col Verga era ancora in alto mare, infatti l’autore de “I Malavoglia” aveva concesso il benestare in forma generica, poi con un contratto privato datato 9 aprile 1890 affermava di voler partecipare agli utili. “Parmi giusto – scriveva – ed intendo che mi sia garantito ciò che la legge mi attribuisce”. Precisava di non volere niente per il Concorso Sonzogno, ma per le successive rappresentazioni sì, giacché la sua opera letteraria esisteva per qualcosa anche in termini di …picciuli.

Visto che non si raggiungeva un accordo tra il Verga e Casa Sonzogno, la quale aveva nel contempo acquisito i diritti, la questione passò alle vie legali. Verga si rivolse alla Società degli Autori e il Tribunale di Milano si pronunciò a suo favore, riconoscendogli il 50% de-

gli utili netti. C’è una lettera dei Sonzogno, in data 17 marzo 1891, piena di rabbia per il successo del Verga dove si usarono espressioni pesanti tipo “camorra letteraria” e “ridicole infamie della sentenza”.

Il verdetto, però, fu confermato anche nel 1892 e Sonzogno fu costretto a proporre cifre sempre più alte fino ad arrivare a 143.000 lire, una somma consistente. A quel punto Verga dichiarò estinto ogni suo diritto, ma più tardi aggiunse che il tutto era stato ottenuto con dolo e ciò lo confermò anche in vecchiaia. Insomma, piacevano parecchio i picciuli al creatore di padron Ntoni, il patriarca e forse provò una forte gelosia per l’enorme successo musicale dell’opera, successo superiore a quello letterario.

In quanto a Mascagni, beh, non c’è dubbio che dimostrò leggerezza, ma teniamo presente che era preso dal creare il capolavoro, dal seguire le prove in teatro (dovette cambiare due “Alfii” e tre “Lole”), che fu colto spesso dall’ansia e che pensò anche di non partecipare al concorso, tanto che non sono pochi quelli i quali sostengono che sia stata la moglie Lina a spedire la raccomandata ai Sonzogno, perché lui aveva rinunciato.

Sul Salvestri scriverà agli amici: “Quel boja di Salvestri ha fatto una fesseria”. Comunque Giovanni Targioni Tozzetti parlò di una cartolina del Salvestri andata perduta, dove informava Mascagni di aver parlato col Verga riferendo che lo scrittore siciliano dubitava sulla adattabilità del suo dramma alla scena lirica, in ogni caso lasciava libero il musicista di provare a suo rischio e pericolo. Insomma Verga era stato contattato, ma si trattava di mettersi d’accordo sul quantum.

Mascagni ha sempre detto e scritto che “Io e Verga siamo sempre stati buoni amici”. Amici sì, ma i picciuli, i dané, i vaini, gli sghei contano di più, ci sono esempi a non finire ogni giorno; anche a Mascagni piacevano i vaini, infatti andò a comporre più tardi l’Iris con la Casa Musicale Ricordi tradendo il paterno compositore Sonzogno, che si offese assai.

Le liti private e giudiziarie, le complicazioni crescenti lasciarono risentimento tra le parti tanto che più tardi Sonzogno intentò causa al Verga allorché questi concedette un nuovo consenso a un certo Domenico Monleone per un altro rifacimento musicale della sua opera letteraria, che suonò (!) come un dispetto alla Casa Musicale milanese e Mascagni.

Sonzogno riteneva che Verga, dopo che aveva incassato 143.000 lire, era diventato coautore della “Cavalleria Rusticana” in musica e pertanto era impedito di autorizzare altri a fare uso dell’opera.

Insomma, una storia poco edificante.