Editrice il Quadrifoglio
Livorno nonstop
Mensile di Attualità-Arte e Spettacolo rigorosamente Livornese
Gli anni Settanta
I giovani facevano ancora le vasche in centro, illuminato a giorno, e continuavano a ritrovarsi Da Giovanni, in via Ricasoli, per mangiare il classico panino col prosciutto (o roast-beef) e salsa verde.

I giovani facevano ancora le vasche in centro, illuminato a giorno, e continuavano a ritrovarsi Da Giovanni, in via Ricasoli, per mangiare il classico panino col prosciutto (o roast-beef) e salsa verde. Che spettacolo quelle salse verdi dietro la vetrina del banco! Non solo, oltre al panino, il dessert col mascarpone, cantuccini ...e vino bono. Sul marciapiede c’era la fila per entrare, anche la sera dopo il cinema (a quei tempi ce n’erano tanti a Livorno). A chi aspettava in fila ed era in prossimità del banco, Giovanni offriva un cantuccio… “tò un assaggino, ovvai”.
Era un locale piccolo e l’igiene non è che brillasse (con le stesse mani il compianto Giovanni faceva i panini e dava i resti, con i fogli da 500 o 1000 lire spesso impregnati di granelli di sale), però avevamo dalla nostra la gioventù. Quelle bombe caloriche e un’igiene discutibile ci facevano un baffo.
Ma c’era anche Torquato poco più in là, in via Sardi, lui era il re delle tartine. Qualcuno ricorda quell’albana?
Molti giovani degli anni sessanta, che avevano messo su famiglia, non potevano più permettersi le vasche. Il lavoro e la famiglia, e in qualche caso l’università, non lo consentivano. Molti di loro, allontanatisi dai genitori, non potendo aspirare ad appartamenti lussuosi (i figli di papà, invece, sì) vivevano in affitto a La Rosa, le Sorgenti, alla Stazione, a Coteto ecc. Per altri toccò di peggio, Fiorentina, Shangay, Corea, i quartieri nord.
Però, che straripante gioia il primo figlio/a! E lì non c’era quartiere, ricco o povero, che tenesse. Il primo figlio ti fece sentire fragile e indistruttibile, allo stesso tempo. E le notti insonni per addormentarlo/a? Quella sveglia l’abbiano odiata tutti, ti diceva di andare al lavoro; e al lavoro ci dovevi andare, poi la sera ritornavi a casa, stanco, cena, un po’ di TV e la notte di nuovo, a turno, il bimbo/a in braccio.
Ma quel primo sorriso? E la prima volta di: “babbo” o “mamma”? E quella manina che ti dette per i suoi primi passi? No, non erano sdolcinature alla Liala, erano sentimenti veri che furono scritti col fuoco sulla pietra, per sempre.
Così noi, giovani della vasche anni cinquanta-sessanta, diventammo uomini e donne, come era normale che fosse, e la sera, quando ci trovavamo in centro per gli acquisti, ci rivedevamo nei giovani che vascheggiavano nelle vie del centro, senza una particolare invidia.
La ruota che gira. Per loro, per i giovanissimi degli anni settanta era il tempo del leggendario ciaino, dell’Attias, e ancora del jukebox, del flipper, dei capelli lunghi e dei pantaloni a zampa d’elefante, dell’eskimo e del poncio, dei genitori che non capivano un’acca e poi il Taco Paco, il Tiffany, gli Atleti, Il Caminetto di Tirrenia, il Ciucheba di Castiglioncello.
Ho accennato, prima, ai quartieri: Coteto fino a metà degli anni cinquanta era campagna, ma cominciò a crescere a dismisura negli anni sessanta, settanta. Chi non ricorda don Mauro Del Nevo? Per molti anni fu parroco di Coteto e si circondò di tanti, tanti giovani del quartiere. Mise su anche un giornalino, ge-
stito dai giovani parrocchiani. La nuova chiesa fu pronta nel ’72. E Carlo Casadio? Era il fotografo di Coteto (via Cassa di Risparmi) ma prima aveva fatto parte del complesso musicale Rangers. Lo conoscevano tutti a Livorno, gran brava persona, purtroppo ci ha lasciato da poco, così come don Mauro.
La casa del contadino, con sotto il bar di Pierino, in via Toscana, ha resistito a lungo, poi un moderno edificio l’ha portata via, compreso il piazzale sterrato e polveroso dove un meccanico, al mattino, faceva sempre partire le auto in vena di bizze.
In via Piemonte c’erano le baracche dove si svolgevano le lezioni per i ragazzi più piccoli della scuola elementare; i più grandi andavano alla scuola De Amicis. Una nuova sede in muratura fu inaugurata con l’a.s. 1975/76, Alberto Razzauti il nome, e occupava l’edificio che attualmente è adibito a scuola media, in via Veneto. Oggi ha sede, invece, in via Basilicata 2.


E a proposito di scuole, nel 1971 l’Istituto Tecnico per Geometri si staccò dal Vespucci e si trasferì in via S.Anna, l’anno seguente nacque il Liceo Scientifico (nel 1981 fu intitolato a Francesco Cecioni) e nel 1973 il Liceo Scientifico Enriques ebbe una nuova sede in via della Bassata. Paolo Virzì frequentava la scuola elementare Pietro Thouar quindi la scuola media del quartiere le Sorgenti, leggeva già Carlo Dickens e giocava a calcio nei cortili: “Perché a Livorno se da piccolo non giocavi a pallone eri un caso umano, uno squilibrato” dirà.
In quegli anni esplose la smania del pattinaggio artistico a rotelle e sorsero numerose società come il Gruppo Sportivo Gymnasium, il circolo pattinaggio La Rosa, il circolo F.lli Gigli, la sezione pattinaggio UISP e la sezione Stanic, ecc. E sia chiaro, non si friggeva con l’acqua, perchè nacquero pluricampioni mondiali come la livornese Letizia Tinghi o come Elisabetta Vivaldi che conquistò l’alloro europeo. E poi ripetute affermazioni a livello nazionale con Antonella Schiano, Luciana Dinucci (sua figlia Roberta, figlia d’arte, si è classificata, addirittura, 3a ai campionati mondiali negli “obbligatori” del 2004), Ambra Gigli, Alessandra Allegri, Monica Veratti ecc.

La città pianse il suo grande campione Armando Picchi, Armandino, una folle strabocchevole era presente ai suoi funerali. Poi altre sciagure, quella della Meloria dove un Hercules 130 si inabissò con a bordo 46 paracadutisti, era il 9 novembre 1971, poi il disastro sul Serra, 3 marzo 1977, dove persero la vita 38 allievi dell’Accademia Navale e cinque membri dell’equipaggio. E non è finita, il 16 ottobre 1975 morì l’attore e doppiatore livornese Carlo Romano e il 7 marzo 1979, nella sua casa di piazza G.M. Lavagna, esalò l’ultimo respiro Renato Natali, amatissimo dai suoi concittadini.
A seguito della chiusura del canale di Suez per la guerra arabo-israeliana, il prezzo
del greggio aumentò fino a tre volte tanto, da qui la crisi petrolifera che andò sotto il nome di “austerità”. Si conobbero la parola “ecologia” e l’espressione “risparmio energetico”. Dal 2 dicembre 1973 fu imposto il divieto di circolazione ai mezzi privati nei giorni festivi, pena sanzioni fino a un milione di lire. La domenica si usava il mezzo pubblico ma più che altro la bicicletta.

I matrimoni? Gli sposi andavano a piedi o usavano il mezzo pubblico, preso in affitto, per andare al ristorante.
I cinema chiudevano alle 23 e anche la TV cessava i programmi a quell’ora mentre i bar e ristoranti entro mezzanotte. Certo, scomodo, ma vedere tutti in bici la domenica in via Grande, in piazza Cavour era uno spettacolo originale. Insomma, non pochi si convinsero che si poteva vivere in quel modo e non era, poi, la fine del mondo! A proposito, qualcuno fa iniziare dagli anni settanta il disastro ambientale. Dall’aprile 1974 il divieto delle auto fu limitato alle targhe alterne, pari o dispari.
E mentre diventavano un tormentone Mamma mia degli Abba, Yuppi du di Adriano Celentano ed anche Anima mia dei Cugini di Campagna, il compianto Giorgio Fontanelli presentò a Rosignano “O porto di Livorno traditore” con Tina Andrey e Aldo Bagnoli, con la regia di Beppe Ranucci. Fu un successo e la commedia presentata più volte a Livorno.
Il gruppo Monti mise in liquidazione il giornale più antico e glorioso di Livorno, Il Telegrafo, ed il Pretore ordinò lo sgombero delle sede di viale Alfieri. Con il pieno accordo dei partiti e dei sindacati, il sindaco Alì Nannipieri requisì, con grande coraggio (sì, ci volle coraggio), lo stabilimento “Il Telegrafo” affidando la custodia di esso alla cooperativa di giornalisti e tipografi che si era costituita, così con la nuova testata Il Tirreno e il direttore Carlo Lulli iniziò il secondo secolo di vita. Il giornale era salvo.
Intanto era nato negli anni sessanta a Livorno un laboratorio, un laboratorio di solidarietà, di servizi alla gente, di idee che negli anni settanta si affermò come momento di grande vivacità culturale e politica. Dove? In Corea, il quartiere più povero della città, la periferia della periferia. Chi? Don Nesi insieme a don Piero, don Riccardo. La porta della casa dei preti era aperta tutto il giorno e la notte, perché gente che non aveva da mangiare o da dormire ce n’era sempre. E mentre la messa si celebrava in una baracca di legno (anni sessanta) e i fedeli crescevano ogni settimana, fu aperta la “Casa dello studente” per chi frequentava l’Università di Pisa e veniva da fuori Livorno.

Questi universitari, a loro volta, dovevano fare doposcuola ai giovani di Corea perché nessuna famiglia poteva accollarsi le spese per le ripetizioni. Nacque il “villaggio scolastico”. Non solo, don Nesi portò in Corea a parlare con gli abitanti del quartiere, per la loro crescita civile, gli esponenti più in vista della politica e del sindacato: La Pira, Pistelli, Ingrao, Trentin, Lama ecc. In tutta Italia si parlava di quegli incontri e di quella vitalità culturale, così sempre più gente si interessò a quell’esperienza. Molti si avvicinarono per convinzione, altri per capire, altri ancora per snobismo. Giusto ricordare che quelli erano anni in cui c’erano molte aspettative dall’incontro tra i principi morali del cristianesimo e il mondo socialista insieme al PCI di Berlinguer.
Un brano assolutamente italico, pieno di romanticismo e melanconia, sfondò, era Quella carezza della sera dei New Trolls, ma anche Piazza Grande di Lucio Dalla arrivò nel cuore della gente così come Questo piccolo grande amore di Claudio Baglioni, Sotto il segno dei pesci, di Antonello Venditti, Tu sei l’unica donna di Alan Sorrenti, Pensiero stupendo di Patty Pravo, Gianna di Rino Reitano e tutte le canzoni di Mina. Un modo forte di affermare il proprio “io”, in linea con altre forme di intendere, anche musicali, si trovava in Born to be alive di Patrick Hernandez (quel ritmo coinvolgente, Paolo Virzì ha voluto riproporlo nel film La prima cosa bella). Era il 1979 e il rock stava spopolando con band come i Pink Floyd, i Queen, gli AC/DC ecc.


Dirigenti d’azienda, poliziotti, magistrati e giornalisti intanto erano finiti nel mirino del terrorismo. Il Paese, che aveva subito le stragi neofasciste della Banca dell’Agricoltura, piazza della Loggia e del treno Italicus, ora fu preso alla gola dalle brigate rosse. Nel 1978, dopo quasi due mesi di crisi governativa, Giulio Andreotti ebbe l’appoggio esterno del P.C.I. di Berlinguer, per questo accusato da tanti militanti della sinistra di tradimento della classe operaia, anche in città. Aldo Moro era stato il deus ex machina di una operazione politica tra le più difficili della storia della Repubblica, così, mentre a Palazzo Chigi si prestava il giuramento dei nuovi sottosegretari, arrivò la notizia che era stato rapito dalla brigate rosse e che cinque uomini della scorta erano stati uccisi.
Dopo una prigionia di 55 giorni il corpo di Aldo Moro, assassinato, fu trovato in una macchina nel quartiere di Roma più sorvegliato (proprio così!), la zona tra piazza del Gesù, sede della D.C., e via delle Botteghe Oscure, sede del P.C.I.
Lo Stato sembrò sul punto di naufragare, ma i partiti dell’arco costituzionale e i sindacati confederali si appellarono all’opinione pubblica e le vie e le piazze di Livorno e delle grandi e piccole città d’Italia si riempirono, tutte, di bandiere per esprimere la più vibrante protesta. No al terrorismo e al fascismo!