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I Gragnani e il,cinema

Intorno al 1840 nacque la fotografia e, in seguito, si cominciò a sperimentare la proiezione di foto in successione, mediante scatti consecutivi,  per dare l’illusione del “movimento”.

Di Luciano Canessa

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Intorno al 1840 nacque la fotografia e, in seguito, si cominciò a sperimentare la proiezione di foto in successione, mediante scatti consecutivi,  per dare l’illusione del “movimento”. Gli esperti sono concordi nell’affermare che la prima proiezione in  sala di una pellicola stampata porta la data 28 dicembre 1895 per merito dei fratelli Louis e Auguste Lumiére (La sortie de l’Usine Lumière).

L’ambiente scelto dai fratelli Lumière fu il Gran Cafè sul Boulevard des Capucines, a Parigi. Era la Parigi della bèlle epoque, della ricca borghesia, la Parigi dell’ottimismo, dei tremila caffè, del Moulin Rouge, del quartiere Montemartre con i suoi grandi artisti confluiti lì da tutto il mondo.

Va detto subito che inizialmente nessuno attribuiva al cinema un futuro commerciale, né tanto meno artistico, però tutti erano concordi nel vedere in esso un grande divertimento, una attrazione che faceva eco a un mondo che stava cambiando radicalmente con le prime automobili, la luce elettrica, la radio, lo sviluppo della ferrovia, i primi transatlantici che accorciarono le distanze tra città e  continenti.

A Livorno il cinema arrivò poco dopo il debutto a Parigi, nell’estate del 1896, quindi dopo pochi mesi, presso l’Eden Montagne Russe, il parco dei divertimenti istallato sulla Spianata dei Cavalleggeri, oggi terrazza Mascagni. A molti parve un fenomeno da baraccone, ma la cosa divertiva e conquistò la gente, così all’Eden arrivavano ogni anno migliaia di turisti. 

In via Vittorio Emanuele (oggi via Grande) nacquero dapprima piccole sale di capienza modesta, poi con capienza sempre più consistente per assistere alla proiezione dei cortometraggi. Qualche nome: l’Edison, il Vittoria, Iris, Garibaldi, Salone Splendor, il Cinematografo Artistico ecc. In questo contesto,  ai primi del novecento ap-

     parve all’orizzonte un componente della famiglia Gragnani, Cesare, nato nel 1874, che fino ad allora si era occupato della pubblicità murale, ma che intuì  le enormi possibilità che il cinema aveva, che insomma il cinema non era semplicemente un marchingegno tecnico, ma  anzi con esso si potevano fare soldi e tanti, grazie a quella magia che le immagini in movimento riuscivano a trasmettere.

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Cesare acquistò il teatro Politeama sugli Scali Saffi, inaugurato il 24 dicembre 1878 per spettacoli di prosa e lirici, poi prese la gestione di varie sale nella via Vittorio Emanuele che rispondevano al nome di Edison, Garibaldi e Splendor (le ultime due insieme alla famiglia Lazzeri).  In via dei Carabinieri fece costruire, nel 1911, il cinema teatro Centrale, poi ampliato e rinnovato due anni dopo. L’inaugurazione avvenne il 9 dicembre.

C’era tanto da fare e  Cesare chiamò vicino a sé il fratello Corrado e in seguito i figli Carlo, Ettore, Corrado e Renato che lo coadiuvarono nell’impresa. 

Il Salone Margherita, costruito nel 1913, entrerà nella disponibilità dei Gragnani  e, in tempi diversi, anche i teatri Goldoni e Avvalorati.

Con i teatri, in realtà, i Gragnani avevano familiarità, infatti un altro Gragnani, Luigi all’anagrafe, coadiuvato da altri cittadini, (v. Piombanti) aveva realizzato agli inizi dell’800 il grande e bello “Carlo Lodovico”, poi “San Marco” (qui, il 21 gennaio 1921, nacque il Partito Comunista d’Italia), poco oltre piazza dei Domenicani.

Di lì a breve, ancora un Gragnani, Innocenzo (1807-1871), progettò il teatro Rossini,1 in via dei Fulgidi-via dei Carabinieri, che fu inaugurato il 25 ottobre 1842, poi distrutto dalle bombe (progettò anche il Palazzo Rosso di piazza Cavour, oggi di proprietà Fremura).

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La famiglia della quale vi parlo ebbe anche l’idea di stampare un giornalino, “Il Centrale”, per informare i livornesi degli spettacoli in programma. Era, allora, in uso che gli strilloni attirassero l’attenzione dei passanti, creando, con la loro voce altisonante, qualche lamentela da parte di negozianti e del vicinato.

Corrado Gragnani, finita la Grande Guerra, decise di costruire un vasto locale per rappresentare ogni genere di spettacolo e scelse per ciò la via Vittorio Emanuele, quella più centrale della città. Con un investimento da far paura acquistò diciotto immobili compresi  nel tratto via Vittorio Emanuele, via dell’Angiolo, via delle Galere e la scomparsa via del Sette (posta tra quest’ultime due), li fece demolire e partorì una struttura per quei tempi avveniristica cui dette nome di Teatro Moderno, inaugurato nel 1921 anche se con un ingresso provvisorio. Con un palcoscenico lungo diciotto metri e profondo sedici, mille poltrone in platea e cinquecento in galleria, più sedici palchi, un impianto elettrico il più avanzato del tempo, divenne il fiore all’occhiello della città. Spesa finale due milioni di lire, una cifra da capogiro. E alle spalle del grandioso teatro nacque il Novocine.2 Il motivo è presto detto. Corrado volle dare anche alla gente più povera e ai giovani la possibilità di apprezzare la “settima arte”. E il nome parlava chiaro. Non “Nuovo cinema”,  ma Novocine, alla livornese, per intendersi meglio.  

I giovani, non paghi di assistere a due film e al film L.u.c.e., non si allontanavano dalla sala alla fine della prima rappresentazione, ma rimanevano anche alla seconda, finché dietro compenso pecuniario cedevano il posto a sedere, in quanto la sala era sempre stracolma e molti stavano in piedi, tra una coltre di fumo da sigarette. è chiaro che,  quando uscivano “a buio” dal Novocine “ciavevano l’occhi in mano e ir cervello rinformiolito”.

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L’amore, ovunque, per il cinema determinò un boom, da qui l’idea di  Giovacchino Forzano, calatosi nell’attività di cineasta, di dare origine, negli anni trenta, a uno stabilimento di posa, Pisorno, nella neonata Tirrenia con centinaia di livornesi e pisani a contendersi ruoli di comparsa  o controfigura. Un amore per il cinema che i Gragnani erano riusciti a trasmettere con il loro impegno. Il pubblico, al cinema, rideva e piangeva, piangeva e rideva, sempre preso da grandi emozioni in quelle magiche sale al buio, stipate fino all’inverosimile. Per qualche ora la gente si scordava le sventure, le miserie  e quelli dotati di fervida fantasia parlavano addirittura con Rodolfo Valentino e Greta Garbo. 

     Di lì a poco si affermarono  due star livornesi bellissime, Vivi Gioi (1914-1975) e Doris Duranti (1917-1995). Secondo voi chi era la più bella? E più brava? Doveroso ricordare, tra i nati sotto i Quattro Mori in quegli anni,  anche Umberto Melnati (1897-1979) e Roberta Mari (1918-1993), moglie di Ernesto Calindri col quale è apparsa spesso in TV.

Ma non finisce qui. Nel secondo dopoguerra Cesare creò, in largo Valdesi, un grande complesso, il cinema Odeon, su progetto del’arch. Virgilio Marchi. L’imponente sala con i suoi 2400 posti tra platea e galleria fu inaugurata il 30 aprile 1952. Alle ore 18, con tutte le autorità presenti, fu consegnata a Cesare Gragnani, pioniere del cinema, una pergamena  ricordo, poi alle 22 andò in scena il film “David e Betsabea”, in technicolor, con Gregory Peck, Susan Hayward e la regia di Henry King.

Inoltre, su progetto di Corrado, cominciò a funzionare il cinema estivo Ariston, nei pressi di piazza Attias, da dove, alla fine dell’ottocento, la famiglia Rodocanacchi usciva con il “tiro a quattro”. Per quanto fecero al cinema Cesare e Corrado furono insigniti del titolo di “Cavalieri del Lavoro” e a coronamento della loro attività per oltre cinquanta anni, nel 1961 l’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo conferì una medaglia d’oro  ai  Gragnani per aver favorito la nascita del cinema in Italia consentendone lo sviluppo, attraverso conquiste tecniche, artistiche e spettacolari. 

Comunque, se i Gragnani hanno saputo  dare così tanto alla settima arte, ciò è stato possibile per la risposta entusiastica della città che dimostrò, allora, amore per i film, riempiendo le sale cinematografiche. 

Concludendo, i Gragnani di Livorno si sono distinti  anche in campo musicale con Emilio (1900-1960), uno dei figli del più volte menzionato Cesare. Fu critico musicale e musicologo di grande rilievo, discendente da una famiglia di musicisti e liutai fin dal settecento; in primis, Filippo Gragnani, 1768-1820, e il padre Alberto.

Ah! Dimenticavo, nel dopoguerra Livorno, raccogliendo il testimone “cinema” dalle mani dei Gragnani, ha dato impareggiabili doppiatori cinematografici (quindi belle voci e ottime dizioni) come Giorgio Capecchi (1901-1968), Emilio Cigoli (1909-1980), Stefano Sibaldi (1905-1996), Carlo Romano (1908-1975), registi quali Alfredo Angeli, Amasi Damiani,  Carlo Virzì e il suo grande fratello Paolo. Con i Virzì abbiamo apprezzato sullo schermo  i concittadini Marco Messeri, Dario Ballantini, Paolo Ruffini, Bobo Rondelli, Edoardo Gabbriellini, Totò Barbato ecc.

Ricordo, inoltre, lo sceneggiatore Francesco Bruni che è nato a Roma, è vero,  ma è cresciuto a Livorno, la città natale della madre. E infine Marco Sisi, videomaker e tecnico RAI, nonché collaboratore di questo mensile, che con il suo “Livorno superstar”, giunto al 3.0, ha creato una esaustiva raccolta di tutte le scene girate o ambientate in luoghi della nostra città e dintorni, a partire da Ben-Hur del 1925.

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