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Quando scoppiò la “guerra del cacciucco” di Giorgio Mandalis

La cacciuccata del 1936 fu per oltre sessant’anni l’ultimo evento degno di nota della storia del tipico piatto labronico. Scoppiò la guerra, piovvero le bombe e la città uscì dalla tragedia in cui il Regime aveva condotto l’Italia intera avviando con un certo ritardo la ricostruzione. Arrivò il boom economico e anche Livorno assistette ad una trasformazione inarrestabile del suo tessuto sociale che finirà per condizionare profondamente anche il mondo culinario domestico e della ristorazione.

di Giorgio Mandalis

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La cacciuccata del 1936 fu per oltre sessant’anni l’ultimo evento degno di nota della storia del tipico piatto labronico. Scoppiò la guerra, piovvero le bombe e la città uscì dalla tragedia in cui il Regime aveva condotto l’Italia intera avviando con un certo ritardo la ricostruzione. Arrivò il boom economico e anche Livorno assistette ad una trasformazione inarrestabile del suo tessuto sociale che finirà per condizionare profondamente anche il mondo culinario domestico e della ristorazione.

Senza avere la pretesa di addentrarmi in un complesso contesto sociologico, i fattori più evidenti che incisero in questo processo possiamo così riassumerli: da un lato si assistette ad un progressivo inserimento della donna nel mondo del lavoro con la conseguente ridefinizione del suo ruolo, già caldeggiato dal Regime, di angelo del focolare. Finché fu in vita la vecchia generazione di mamme e nonne dedite ai fornelli la trasformazione fu poco avvertita, ma con la sua progressiva dipartita, pur con le debite eccezioni, la necessità di cucinare verrà vissuta in modi nuovi: sarà, ad esempio, condivisa dagli uomini di casa, lavorando entrambi i conviventi per far quadrare i bilanci e far fronte al consumismo; i tempi da dedicare alla scelta e cottura dei cibi si ridurranno drasticamente e il ricorso a surgelati, precotti, cibi in scatola o trattati industrialmente aumenterà, provocando il declino di tutte quelle ricette che richiedevano freschezza di prodotti e tempi prolungati di preparazione e cottura. 

Dall’altro lato, per ciò che concerne nello specifico il cacciucco, la pesca lungo costa condotta con tecniche spesso rapinose provocherà la riduzione progressiva della disponibilità delle materie prime e il conseguente aumento del loro costo, tanto da trasformare un piatto tradizionalmente “povero” in un piatto non dico per ricchi ma certamente per benestanti o almeno da riservare ad occasioni molto particolari.

Anche nella ristorazione ci furono delle ripercussioni. A parte alcuni noti ristoranti che provarono con successo a tener viva la tradizione, in molti casi ingredienti discutibili e cotture spicce faranno declassare il cacciucco da piatto popolare a piatto folcloristico, destinato a turisti ed avventori sprovveduti.

È in questo contesto che sul finire del secolo scorso scoppiò la cosiddetta “guerra del cacciucco”, che molti di età matura ricorderanno, ma che forse è sconosciuta del tutto a chi oggi sia poco più che trentenne.

Nel 1998 la Nestlé-Buitoni, colosso multinazionale dell’alimentazione, produsse uno spot televisivo, reperibile ancora su You Tube, per reclamizzare il proprio “cacciucco” surgelato, che vantava di poter essere servito nel lasso di tempo necessario per preparare i crostini da accompagnamento. La regia era stata affidata a Paolo Virzì e il testimonial era Diego Abatantuono nel ruolo di un ospite che, non avendo trovato niente dopo una immersione subacquea, si era affidato al prodotto surgelato per mettere a tavola una brigata di amici. Già vestito con lo smoking sotto la muta, versava il  prodotto in un ampio tegame dove galleggiavano nel sugo abbondante pezzetti di totano e qualche altro ingrediente poco riconoscibile, asserendo che “Il vero cacciucco si prepara con Buitoni”. Lo slogan  fece sussultare, non senza ragione, il sindaco Gianfranco Lamberti. Ne nacque quella che con molta enfasi fu definita una “guerra” con l’intento di rendere giustizia al piatto principe della cucina labronica, che col surgelato non aveva proprio nulla da spartire.

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La ragionevole richiesta alla multinazionale era che il nuovo prodotto si chiamasse “zuppa di pesce”, cosa incontrovertibile, ma non “cacciucco”. Ma il sindaco non sfidò direttamente il colosso alimentare, egli scelse piuttosto una via strategica: invitò il regista e l’attore ad assaggiare un “vero” cacciucco al ristorante di Beppino Mancini, La Barcarola, perché si rendessero ben conto della differenza. Il fatto ebbe rilevanza sulla stampa nazionale.

Secondo un articolo apparso su Repubblica il 22 Agosto 1998, a firma di Simona Poli, Virzì, che ammetteva, pur essendo nato e cresciuto a Livorno, di non amare particolarmente il cacciucco, e Abatantuono, che durante l’estate aveva consumato tanto di quel pesce da preferire un menu a base di carne, accettarono l’invito solo per cortesia. La Buitoni, a sua volta, pensò di poter replicare asserendo che sulla busta vi erano delle indicazioni che invitavano il consumatore a servirsi del surgelato come fosse una base destinata ad essere arricchita secondo il proprio gusto ed estro creativo.

Pochi giorni dopo, il 26 Agosto, compariva un articolo di Corrado Benzio su Il Tirreno con un’intervista rivolta al testimonial. Il simpatico attore, chiaramente intenzionato a sedare gli animi, dichiarò che nella disputa ci avevano guadagnato tutti: la Buitoni, che aveva avuto una pubblicità inaspettata al prodotto; il sindaco Lamberti, che si era guadagnato un po’ di pagine sui giornali (che per un politico non fanno mai male); ed infine lo stesso cacciucco, che tornava alla ribalta dopo i dotti interventi di chef e critici di cucina. Insomma si era attuata, commentava il giornalista, “un’operazione di marketing difficilmente ripetibile”.

Entrando più nel merito Abatantuono provava a smorzare la carica polemica della contestazione di Lamberti ricordando che da anni si producevano lasagne surgelate senza che l’Emilia fosse insorta, ma per par condicio, ricordava anche come la pizza surgelata, sempre prodotta dalla Buitoni, avesse visto sollevare i Napoletani col sindaco Bassolino in testa.

Il regista Virzì, che per defilarsi dalla grana avrebbe clamorosamente smentito di aver girato lo spot, e il testimonial in tutta questa querelle non avevano responsabilità di alcun genere, avendo svolto semplicemente il loro lavoro. Naturale che i prodotti freschi producano un risultato diverso, ma la logica del prodotto industriale va incontro alle esigenze del-

     la contemporaneità, proponendo una sorta di compromesso tra praticità e tradizione.

Lo spot fu presto ritirato, cosa che fu considerata dall’Amministrazione cittadina una  vittoria, ma la Buitoni continuò a produrre con successo cacciucchi surgelati del tutto indisturbata. Quello attualmente sul mercato prevede, come indicato sulla confezione, al 26% merluzzo dell’Alaska, mazzancolle tropicali al 7%, cozze atlantiche al 6% e merluzzo del Pacifico al 6%. Il resto è pomodoro al 24%, a cui si aggiungono amido di patate, sciroppo di caramello, olio evo, sedano, carote, cipolle fritte in olio di semi di girasole, aglio, prezzemolo e miele. Insomma una lista talmente eterodossa di ingredienti che l’animata discussione per stabilire se nel cacciucco tradizionale ci vadano, se capita, anche ghiozzi e trigliette assume un risvolto decisamente comico.

Il nuovo millennio ha assistito ad una importante ripresa della ricerca di materie prime fresche e genuine e del ricupero delle tradizioni gastronomiche locali con o senza “rivisitazioni”. Associazioni create ad hoc per imparare a degustare e a salvaguardare il buon cibo, popolari talent show televisivi, corsi di cucina mediatici e dal vivo hanno prodotto una sinergia virtuosa che sta offrendo un valido contributo all’alimentazione consapevole e ad una maggiore cura da parte della ristorazione e della cucina domestica. Non ha assunto proporzioni tali da soppiantare la produzione industriale, ma si può dire che nel mercato si è trovato lo spazio per un’utenza diversificata. Oggi chi non sa è in genere chi non vuole sapere o chi preferisce il prodotto surrogato ed economico per legittime ragioni proprie.

Anche il nostro cacciucco sta beneficiando di questo mutato contesto culturale. L’11 novembre 2015, nella sala Capraia della Camera di Commercio, la Pro Loco Livorno, allora presieduta da Mario Lupi, organizzò un convegno (col patrocinio del Comune e della stessa Camera di Commercio) per presentare la certificazione del Cacciucco Livornese tipico-tradizionale 5C, cioè Caratteristico, Classico, Cucinato con Cura e Competenza. Per fortuna le 5 C corrispondono anche in inglese, in modo da conferire un respiro internazionale all’iniziativa: Characteristic, Classic, Cooked with Care and Competence.

I termini sono sufficientemente chiari da non necessitare una spiegazione, ma solo per voler essere pignoli “Caratteristico” significa che il cacciucco livornese non deve essere confuso con brodetti e zuppe di pesce - per quanto pregevolissimi - di altri territori; “Classico” allude al rispetto di una tradizione locale assestata nel tempo; Cucinato con Cura e Competenza concerne la freschezza

     e la correttezza del prodotto, preparato secondo le procedure canoniche. Come si può capire non si tratta di seguire il rigore ferreo di una ricetta, ma una serie di princìpi e di comportamenti a cui attenersi per poter ottenere la certificazione che qualifica il ristorante che la ottiene ed è di garanzia per l’avventore.

Giuseppe Chionetti, valido collaboratore di Mario Lupi nel progetto della Pro Loco e abilissimo comunicatore, mostrò nel convegno la complessità dell’impegno che comporta l’accreditamento di un ristorante, perché prevede un’abilitazione per i cuochi e un’autorizzazione dei fornitori. Infatti attorno al cacciucco non gravitano solo i prodotti del pescato, ma il pane e l’olio extravergine toscani, la qualità del pomodoro nostrano e di conseguenza la tracciabilità di tutto ciò che si mangia.

A fianco dell’iniziativa, che prevedeva anche la nomina di tre ambasciatori del cacciucco nel mondo (il gastronomo e scrittore Paolo Ciolli, il cuoco Michelangelo Rongo, reduce dall’Expo milanese dove aveva cucinato 3000 cacciucci, e chi scrive) fu istituita a scadenza annuale la manifestazione del Cacciucco Pride, giunta nel 2021 alla sua sesta edizione.

L’auspicio è che la certificazione continui ad essere conferita con lo scrupolo di chi l’ha concepita, per evitare che tutto scada nella cialtroneria e che il Pride a sua volta eviti il coinvolgimento di “improvvisi”, realizzando un evento popolare e non una grande ammucchiata.

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