Livornesi che diventarono pisani e pisani che sono diventati livornesi.

12 Feb 2024 | Autore: Luciano Canessa, IN EVIDENZA, IN PRIMO PIANO, STORIA

Livornesi che diventarono pisani e pisani che sono diventati livornesi 

Molti studiosi si sono interessati intorno alle vicende storiche della popolazione, del porto, del commercio di Livorno, ma pochi si sono occupati del territorio provinciale, a parte i riferimenti al Lazzaretto di S. Jacopo e di S. Leopoldo.

di Luciano Canessa

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Molti studiosi si sono interessati intorno alle vicende storiche della popolazione, del porto, del commercio di Livorno, ma pochi si sono occupati del territorio provinciale, a parte i riferimenti al Lazzaretto di S. Jacopo e di S. Leopoldo. Eppure la conoscenza di questo aspetto di Livorno è utile a capire di più e meglio la sua storia. Gli studiosi di cartografia ci mettono, però, in guardia da possibili imprecisioni degli elaborati cartografici antichi e anche di una certa genericità del motuproprio di Ferdinando I in data 1606.

Tenendo presente quanto affermato, si ricorda che il 19 marzo 1606 Ferdinando I Medici dichiarò Livorno città e volle estendere il Vecchio Capitanato, limitato pressappoco all’attuale Comune, allargandolo su vari lati fino a Stagno, Crespina e  Rosignano in corrispondenza del torrente Fine. Tale ampliamento prese il nome di Capitanato Nuovo. Una estensione di non poco conto che teneva presente l’importanza del porto di Livorno e che durò, salvo qualche modifica, oltre 200 anni, il tempo perché si sentissero livornesi, più o meno convinti, gli abitanti di Collesalvetti, Colognole, Luciana, Lorenzana, Fauglia, Gabbro, Castiglioncello, Rosignano ecc. Deve precisarsi che le comunità aggiunte conservarono il diritto di amministrare e talora anche deliberare, salvo approvazione del Granduca, in materia fiscale, incarichi comunitativi, mercati, strade, acquedotti ecc.

Nel  1808 Napoleone Bonaparte rese la giurisdizione ancor più grande, allorché divise la Toscana in tre dipartimenti: il dipartimento del Mediterraneo con Livorno capoluogo di 64 comuni dei quali 17 costituivano già la sua prefettura; il dipartimento dell’Arno con capoluogo Firenze; il dipartimento dell’Ombrone con capoluogo Siena.

Pisa e Volterra furono considerate sottoprefetture e pertanto  dipendenti dalla circoscrizione di Livorno, in quanto Napoleone puntò sulle città a forte sviluppo borghese, privilegiandole alla nobiltà agraria delle vecchie capitali. Insomma un forte riconoscimento da parte dell’imperatore francese alla nostra città e al suo porto.

Tramontata la stella napoleonica e ritornati i Lorena, Livorno riprese i confini del Capitanato Nuovo risalenti al 1606, e ciò per tutto il periodo 1815-1848.

Ma giunse il 1847, preludio al ’48, quando Leopoldo II decise di cedere Pontremoli e Fivizzano al ducato di Modena, creando problemi a un  ordine economico consolidato da anni, ma soprattutto consentendo, di fatto, il passaggio delle truppe austriache dai valichi appenninici senza alcuna autorizzazione. Ai democratici toscani non poteva allettare questa decisione, in particolare Francesco Domenico Guerrazzi e i livornesi si distinsero in questa battaglia che non piacque ai Lorena, i quali vollero punire la città con la legge 9 marzo 1848, riducendo l’estensione a quella precedente al 1606, cioè del Capitanato Vecchio corrispondente alla città e alle campagne di Salviano, S. Jacopo, Ardenza, Antignano, Montenero.

La motivazione fu che Livorno non teneva nella dovuta considerazione gli interessi del contado, tutta presa come era dagli interessi del porto.  Questa motivazione ha convinto vari storici, ma rimane da capire perché il provvedimento avvenne a pochi mesi dai fatti del ’47-’48. Se non era una punizione quella!

Tra l’altro con la riforma dei tribunali del 1838, cioè solo dieci anni prima, al Capitanato Nuovo erano stati aggiunti i territori di Bibbona, Guardistallo e Castagneto!

Con lo scellerato provvedimento del Granduca Leopoldo II tanti livornesi diventarono pisani. Il governo lorenese, bontà sua, con legge 6.11.1851 volle aggiungere a Livorno l’isola d’Elba e la Gorgona.

Nemmeno sotto il Regno d’Italia si prese atto del paradosso della limitatezza territoriale. è agli atti del Parlamento italiano, nella tornata del 14 marzo 1864, la petizione 9795 dei sigg. Mayer,

Antonio Mangini e altri 1009 cittadini toscani tesa a richiedere l’allargamento giurisdizionale. Niente da fare, perché Livorno, per le sue dimensioni, era scarsamente rappresentata in Parlamento. Anzi nel 1876 sorse addirittura il timore che in sede di riforma delle circoscrizio-

      ni amministrative Livorno venisse assorbita nella Provincia di Pisa, proprio per la sua limitata estensione! Pericolo scampato per la forte protesta di Tito Malenchini e  Antonio Mangini, ma soprattutto della Camera di Commercio.

La controversia durò ancora parecchi lustri, finché il 31.7.1923 il Presidente della Deputazione Provinciale avv. Angiolo Bonichi, il Sindaco di Livorno Marco Tonci Ottieri e Ezio Foraboschi, Presidente della Camera di Commercio, rivolsero appello al Capo del Governo Mussolini per la ricostituzione della Provincia di Livorno, di fatto abolita dal motuproprio granducale 9.3.1848: “Livorno era, allora, la città ribelle al Granduca Leopoldo II che aveva largito nel 1847 la Costituzione e poi se ne era pentito: fu punita della sua ribellione, coll’arresto, operato il 9 gennaio 1848, di F.D. Guerrazzi e dei principali ispiratori di quei moti liberali e italiani e, successivamente, con quel motuproprio del 9 marzo 1848, che, togliendo tutta la provincia a Livorno, la riduceva a quella della sola città”.

La richiesta dell’ampliamento territoriale andava incontro all’esigenza di vedere realizzato uno sviluppo economico e commerciale. Si trattava di interessi economici, sia chiaro, anche se in verità la questione veniva presentata, in primo luogo,  come un torto fatto a Livorno e mai riparato.

Tonci, Bonichi e Foraboschi in quel 1923 si rivolsero ai concittadini più illustri, che occupavano alti livelli nella gerarchia politica, e cioè Costanzo Ciano e Donegani, affinché perorassero l’istanza. Nella lettera inviata a Mussolini si diceva che, come giustamente il governo nazionale aveva conferito il grado di provincia a Spezia e Taranto per il loro recente sviluppo, così anche Livorno non poteva continuare a stare senza provincia.

Pisa affermava, mentendo, che l’Unione delle Province d’Italia aveva espresso parere sfavorevole allo smembramento della Provincia di Pisa, poi rigettando le rimostranze di Livorno asseriva, come scrive Paola Ceccotti in “Comune Notizie”, che quelle di Livorno erano “pretese di megalomani inguaribili nascondenti interessi particolari mascherati da ragioni di ordine nazionale”. Era troppo!

Il deputato ing. Donegani e Costanzo Ciano garantirono il loro interessamento presso Mussolini  al fine di dare favorevole risoluzione al problema. Assunse un ruolo sempre più importante la Camera di Commercio perché elemento decisivo era il valore economico-commerciale dell’operazione.

A nord la città distava un chilometro e mezzo dal confine provinciale di Pisa per cui il nuovo grande porto e la zona industriale si sarebbero ritrovate in territorio pisano. Veniva, altresì,  respinta l’ipotesi “dei cugini” di un antagonismo tra Livorno e comuni da annettere, tipo Cecina, Campiglia e Piombino, perché quegli agglomerati, oltre a avere un carattere agricolo, insistevano sul litorale e quindi avevano una reciproca vocazione con Livorno.

Il 23.11.1923, or sono cento anni,  il consiglio della Camera di Commercio inviò un promemoria al Capo del Governo e per conoscenza a Ciano, Donegani e all’on. Acerbo dove si chiedeva l’annessione di 18 comuni alla Provincia di Livorno e precisamente: Collesalvetti, Fauglia, Crespina, Lari, Terricciola, Chianni, Lorenzana, Orciano Pisano, Santa Luce, Castellina Marittima, Rosignano Marittimo, Cecina, Bibbona, Castagneto Carducci, Sassetta, Campiglia Marittima, Suvereto, Piombino, con una popolazione che al censimento del 1921 ammontava a 119.607 abitanti.

In Consiglio Comunale, il 24.1.1924, si votarono due ordini del giorno, uno della maggioranza (o.d.g. Ottanelli: 41 voti favorevoli e 11 contrari) molto ossequioso verso il governo nazionale, e uno della minoranza (o.d.g. Campi: 11 voti favorevoli e 41 contrari) rappresentata dal solo P.R.I. in quanto l’opposizione socialista e comunista era pressoché tutta in carcere, dove si chiedeva la stessa cosa e cioè l’ampliamento della Provincia di Livorno a 18 comuni. Entrambi gli ordini del giorno furono inviati dal Sindaco a Mussolini.

Non si contano in quel periodo le trasferte a Roma per trattare gli affari del Comune, in primo luogo l’ampliamento della circoscrizione.

è doveroso precisare che la questione fu portata avanti dalla borghesia livornese, cioè non era socialmente trasversale perché i lavoratori, nella precarietà dei loro impieghi in piccole imprese, si tennero fuori. Solo i facchini della dogana mostrarono, in qualche occasione, interesse in quanto coinvolti dagli altri ceti portuali. Pare, comunque, che la massoneria livornese abbia premuto assai per la risoluzione in positivo del problema.

Trascorse inutilmente un anno finché Tonci, Bonichi e Foraboschi inviarono un appello dove si invitava il governo a pronunciarsi e in alternativa alla prima richiesta di 18 comuni si chiedeva almeno una circoscrizione comprendente Collesalvetti, Rosignano Marittimo, Cecina, Bibbona, Castagneto Carducci, Sassetta, Campiglia Marittima, Suvereto Piombino, cioè 9 comuni, il minimo indispensabile per lo sviluppo economico di Livorno.

Il regio decreto n. 2011 del 15 novembre 1925, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 novembre, stabilì che i nove comuni anzidetti erano tolti alla Provincia di Pisa e Capraia isola era tolta a Genova per essere aggregati alla Provincia di Livorno.

Erano  trascorsi 77 anni di braccio di ferro. Un buon numero di pisani tornò a essere livornese.