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Livorno anni 50

Parlare della no­stra Li­vorno, di come si stava, come si viveva negli anni Cinquanta

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Parlare della no­stra Li­vorno, di come si stava, come si viveva negli anni Cinquanta signifi­ca parlare di un tempo lonta­nissimo, praticamente di un altro mondo.

La guerra aveva messo in gi­nocchio la città, 1'80% del centro storico era andato di­strutto, le fabbriche devasta­te, il porto dissestato. Grandi furono i meriti, pur tra gli ine­vitabili errori, di una giunta di coalizione PCI, PSI, DC, PRI, in piedi fino al 1951 (sindaco Furio Diaz, dal 1944 al 1954, ndr), unico caso in Italia, che contribuì alla ricostruzione della città, sia pure lentamente, e allo sviluppo di una vita libera e di fiducia nella democrazia.

La disoccupazione era anco­ra alta a Livorno, ma tendeva a diminuire perché il cantiere Orlando, la maggiore fabbri­ca cittadina, pur con le crisi periodiche (per tutti valga lo sciopero di 42 giorni del '56) dava ancora lavoro, così come il porto, la Compagnia Lavoratori Portuali, la SPICA, la raffineria Stanic, la Sice, Camp Darby, ecc; inoltre sempre più negozi alzavano le saracinesche in centro e in periferia. Certo, la miseria si tagliava a fette e un ruolo de­cisivo lo svolse l'ECA, l'Ente Comunale di Assistenza, che dava da mangiare ai tanti iscritti nei ruoli dei poveri. Nelle lunghe sere di quei lunghi inverni dei primi anni cin­quanta si stava, a veglia, in­torno al tavolo e al fuoco ed era un piacere ascoltare i grandi che raccontavano epi­sodi della guerra che li aveva visti, loro malgrado, protagonisti.Era come vedere un film dove gli attori era­no ora tuo padre, ora tua madre o i tuoi nonni. Si cre­ava, intorno al tavolo e al fuoco, un clima di magia e si andava a dor­mire sotto l'effetto di quel­l'incantesimo.

Le donne contavano di più perché avevano acquisito da poco il diritto di voto, ma è chiaro che la strada delle

pari opportunità era ap­pena all'inizio. La verginità femminile era ancora un va­lore, un valore indiscutibile, e se una ragazza veniva la­sciata dal fidanzato, ciò di­ventava motivo di vergogna per la famiglia. Gli uomini, in­vece, frequentavano abitual­mente le case di tolleranza, al­meno fino alla legge Merlin del 1958. In piazza Magenta i prati erano protetti da filo di ferro spinato, solo più tardi non spinato, e le guardie mu­nicipali sequestravano il pal­lone a noi ragazzi che vole­vamo giocare al calcio, sul prato o in strada. I giochi pre­feriti dai maschi erano il cal­cio, il ghiné, i tappini a coro­na delle bibite con applicato dentro il figurino di un cicli­sta; col gesso si tracciava in strada un circuito, fatto di ret­tilinei, curve, salite, discese dove le Alpi e i Pirenei erano i gradini dei marciapiedi. I più abili, per salire, davano un bi­scotto, in verticale, sul bordo

del tappino. Le femmine, in­vece, facevano il rimpiatta­rello, il girotondo, il salto della corda, il mondo ed erano bra­ve a cantare le filastrocche. (Oh, che bel castello, mar-

condiro `ndiro `ndello oppu­re Domani è festa si mangia la minestra...). Ci divertiva­mo con poco. Bastava un gelato da gustare sul lungo­mare o in centro e d'inverno

un cinque e cinque, fumante, avvolto in un foglio giallo, unto di olio. E poi le tasche piene di seme e noccioline che compravi in piazza Magenta o dall'immancabile omino che stazionava fuori dai cinema­tografi.

Verso la fine degli anni cin­quanta la miseria abbandonò molte famiglie che comincia­rono a conoscere il benesse­re. Il cinema era lo svago prin­cipale e accanto a divi come Clark Gable, Robert Taylor, Gary Cooper, Rita Haywor­th, ne nascevano dei nuovi come James Dean, Marlon Brandon, Paul Newman, Eli­sabeth Taylor. Si facevano le prime prove televisive e nelle case arrivavano, attraverso la radio, le voci di Gino Latilla, Natalino Otto, Carla Boni, Claudio Villa e Nilla Pizzi che aveva vinto il I e II festival di Sanremo con Grazie dei fio­ri e Vola colomba.

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La radio mandava nell'intervallo il cin­guettio di un uccellino,trisavolo di quello che molti anni dopo si poserà sulle spalle di Del Piero e, addirit­tura, gli parlerà. Mario Fer­retti metteva i brividi con le sue radiocronache "C'è un uomo solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Cop­pi". Bei tempi!

In Tv nacque in quegli anni Lascia o raddoppia condot­ta da un giovanissimo Mike Bongiorno e la sera del gio­vedì non vedevi anima viva girare per il centro o in peri­feria. E poi come dimentica­re il Musichiere di Mario Riva (nientepopòdimenochè), il sabato sera, con quella can­zone benaugurante, nel fina­le (Domenica è sempre dome­nica, si sveglia la città con le campane ...),Carosello con le indimenticabili pubblicità (Non è vero che tutto fa bro­do, è Lombardi il vero buon brodo, l'ispettore Rock con la celebre frase: Non è esat­to, anch 'io ho commesso un errore, non ho mai usato la brillantina Linetti, ecc.). E Canzonissima del 1959 con Bastiano, il barista ciociaro (Nino Manfredi), con quel

fusse che fusse la vorta bbo­na, un invito a comprare il bi­glietto vincente della lotteria di capodanno? Nel '58, il boom, Domenico Modugno, Mimmo, alzò le braccia al cie­lo e cantò al mondo "Vola­re... oh oh", il noto ritornello di "Nel blu dipinto di blu" . In Tv tutti parlavano un buon italiano e, addirittura, non ve­niva usata la parola "piedi", perché ritenuta sconvenien­te, ma "estremità". Pensa un po', oggi invece... lasciamo perdere. I politici? Togliatti, del PCI, quando parlava sem­brava di leggere un libro, era un oratore indiscusso. Un ot­timo italiano lo parlavano an­che i vari Malagodi, del PLI, Michelini e Almirante, del MSI, Oronzo Reale e Covelli del Partito Monarchico, ma anche gli altri. Insomma, la TV insegnò la lingua italiana agli italiani. E rispettose della grammatica e della sintassi erano anche le tesi di laurea, mentre oggi ...lasciamo an­cora perdere.

ConLascia o raddoppia molti comprarono la TV, grazie al boom delle cambiali, e sem­pre a rate si cominciò a com-

prare la nuova vettura, Fiat 600, che cambiò le abitudini dei livornesi. Però in centro potevi passeggiare ancora tranquillamente, perché non era inquinato. Chi poteva im­maginare, allora, le manife­stazioni di protesta della pic­cola Greta Thunberg? Riguardo ai rifiuti casalinghi va detto che si usava il sec­chio, poi lo spazzino (nessu­no lo chiamava netturbino) passava con il carretto a rac­cogliere. Ma i rifiuti erano pochi ed erano soprattutto organici perché le bottiglie erano di vetro e non veniva­no gettate, ma riutilizzate, la plastica non c'era, nemme­no gli elettrodomestici all'ini­zio degli anni cinquanta c'era­no, le sedie e i mobili rotti era­no riparati dal falegname. Quel poco di organico che avanzava era mangiato dagli animali domestici perché con quella miseria non trovavi in commercio le crocchette in­tegrali con manzo, verdure e cereali.

I genitori non si separavano (che bellezza!) e noi bambini di allora non dovevamo fare la valigetta il sabato sera per

andare a casa di babbo. Vi sembra poco? Non si cono­sceva la droga e quei pochi che già la conoscevano era­no i figli di papà che, non pa­ghi di quel tanto che già ave­vano, volevano di più!

Nel '56 ci fu una nevicata im­possibile da dimenticare. Niente scuola e il naso appic­cicato ai vetri delle finestre di casa a vedere i passanti, nel­la speranza che qualcuno ca­desse per riderci sopra, ma anche per guardare quelli che facevano le pallate di neve. Com' era affascinante Livor­no in quei giorni, aveva mes­so il vestito più bello!

Alla fine del '57 accadde una di quelle cose che ti lasciano a bocca aperta, nessuno ri­mase insensibile. Una di quelle cose che ti fanno sen­tire piccolo, piccolo, ma an­che grande, grande, allo stes­so tempo. L'URSS annunciò al mondo di aver lanciato in orbita intorno alla terra lo Sputnik e neanche un mese dopo annunciò il lancio dello Sputnik 2 con a bordo una canina, Laika, che morirà cin­que ore dopo il lancio, ma questo quasi nessuno lo

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venne a sapere. Ero trop­po piccolo e ingenuo per ca­pire le connessioni politiche con la guerra fredda tra le due potenze mondiali e classificai, semplicemente, l'avvenimen­to tra quelli meravigliosi che l'essere umano, talvolta, è ca­pace di fare.

Il centro cittadino, nei primis­simi anni cinquanta, era rap­presentato dal quadrilatero via Magenta-via E.Rossi-via Ricasoli-corso Amedeo, in quanto la piazza Grande e la via Grande erano in fase di ricostruzione, anzi talvolta si aveva notizia di palazzi pe­ricolanti che crollavano a terra, sia di giorno che di notte. Nel quadrilatero si fa­ceva il passeggio, sia i gio­vani che le famiglie. All'an­golo tra via Magenta e cor­so Amedeo c'era il bar Vit­toria dove regnavano, in­contrastati, il profumo pe­netrante del caffè e i discorsi ad alta voce su politica e sport degli avventori. Sullo stesso marciapiede si incon­trava, prima della farmacia, una cartoleria i cui proprie­tari, molto anziani, parla­vano con voce calma e fer­ma e avevano un atteggiamento molto professionale nel presentare gli articoli scolastici in vendita. Poi, un giorno, la saracinesca rima­se abbassata e dopo un po' di tempo altre braccia la al­zarono. Quei simpatici vec­chietti non si videro più. Poco più in là, dopo la farmacia, il Carlesi gioielliere le cui ve­trine erano tutto uno sfavillio di oggetti d'oro e d'argento. All'angolo con via E. Rossi e a quello opposto, lato via Goldoni, altri due bar, il bar gelateria Ughi e il bar-pastic­ceria Raffo, perché a Livor­no al cappuccino col pezzo non si può rinunciare. Pochi passi ancora ed ecco la Scuola Media "Marradi" , quindi il glorioso Liceo Classico "Niccolini e Cr' uerrazzi" , dove aveva insegnato nientemeno Giovanni Pascoli, poi, nei pressi della piazza Cavour, un altro bar, il P elletti, dove il cappuccino poteva aspirare al massimo dei voti, il 10, se­condo le valutazioni di tanti livornesi avventori. Ed ecco la piazza Cavour con il conte intento a guardare la via Cai­roli e il Duomo distrutto, ma al suo fianco il nuovo edifi­cio ricostruito sulle rovine del blocco Ambrosini, già dal 1951. Alle sue spalle il cine­ma Edison e la farmacia Ac­quaviva.

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Ed ecco la via Ricasoli, che diventò il salotto buono, con i suoi eleganti negozi (l'Alpe, Ciampi, 1' Astoria, La Com­ba, Eureka ecc.) fmo ad arri­vare all'Attias dove si poteva ancora ammirare la settecen­tesca villa. Di fronte alla ci­tata farmacia Acquaviva, ecco l'esercizio di tessuti La Comense (poi quel locale fu occupato dalla Banca To­scana), la macelleria Mela­ni, la pizzicheria Vodicer, , quindi il negozio di giocattoli Mondanelli, il Par­delli, ecc. All'Attias trovavi la pizzeria Seghetti, il bar Ros­si, quindi risalendo verso cor­so Amedeo, la Casa della Gomma, il cancello della vil­la, la gelateria Ughi, Sta­dium, Pietro Napoli e, sia pure per poco, la Federazio­ne Provinciale del Partito Co­munista che qui alloggiò pri­ma di trasferirsi a villa Regi­na e poi in piazza della Re­pubblica.

Alla confluenza con via E. Mayer un'edicola. Poco ol­tre una piccola fiaschetteria, poi in angolo, sulla destra, un parrucchiere per uomo, di fronte il negozio di elettrodo­mestici Balleri Radio, quin­di più avanti ancora una gran­de fiaschetteria, davanti al bar Vittoria già citato, dove d'estate potevi vedere gli av­ventori all'ingresso con un bicchiere di vino in mano e d'inverno non vedevi niente, oltre le vetrine, per il denso fumo delle sigarette.

Alle spalle ti lasciavi la chiesa del Soccorso con il monu­mento ai Caduti, ma prima trovavi una tabaccheria, un altro bar Ughi che d'estate occupava larga parte della piazza con tanti tavoli. Di fronte un tortaio, una mesti­cheria.

Sul fmire del '51 fu inaugu­rato il Palazzo Grande, il co­siddetto "nobile interrompi-mento", con tutte le polemi­che che durano anche oggi. Poco dopo, nel marzo 1952, aprì anche il cinema Grande, seguito poco dopo dall' Ode­on e praticamente da lì fu ri­costruito il centro cittadino insieme alla grande sala Gran Guardia.

Dalla fine del 1953 i fedeli po­terono seguire la messa nella nuova Cattedrale, invece la Venezia continuò ad essere abbandonata per molti anni ancora, mostrando tutti i se­gni tembili dei bombardamen-

ti. E mentre case nascevano nel nuovo quar­tiere Corea (vero don Nesi?) e altre venivano costruite alle Sorgenti e a Shangay, da Pietro Napoli, in corso Ame­deo, noi giovani si andava ad ascoltare, sul finire degli anni cinquanta, la musica, in cuffia o in cabina. Che ma­gia! Quando un nostro ami­co decideva di comprare un disco, andavamo, in gruppo, ad ascoltare in cabina quat­tro o cinque canzoni, quelle

to le commesse, poverette quanto lavoravano per colpa nostra, erano rassegnate! In quegli anni arrivò sotto i Quattro Mori il rock and roll, il cui indiscusso numero uno era Elvis Presley, da Mem­phis, praticamente un'icona che fece impazzire i giova­ni, soprattutto le ragazze, am­maliate dalla sua bellezza. Pia­ceva anche quel colpo di ba­cino (pelvis) che Elvis elar­giva in continuazione. A Prema con i quattro di Liverpool si entrò negli anni sessanta. Con Elvis tutti cominciarono a cantare, compreso i nostri Adriano Celentano e Little Tony (Antonio Ciacci, si chia­mava), in anglo-americano, storpiando le parole. Solo un genio scrisse una canzone rock in lingua italiana dal ti­tolo "Ciao, ti dirò". Si chia­mava Giorgio, Giorgio Gaber, da Milano, un genio assolu-

to.                                                         

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