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Livorno e l'Illuminismo

Alla fine del '700 la nostra città fu all'attenzione europea per la stampa dei Delitti e delle pene del Beccaria

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Alla fine del '700 la nostra città fu all'attenzione europea per la stampa dei Delitti e delle pene del Beccaria

Livorno e l luminismo

 

"Dei delitti e delle pene ": chi di noi non ha un ricordo, almeno scolastico, di questo titolo così altisonante? Si tratta di un testo fondamen­tale che segna il punto di par­tenza della moderna storia del diritto penale. Un testo, per l'epoca, all'avanguardia, se si considera che agli al­bori del secolo XVIII i me­todi della giustizia criminale erano ancora sostanzialmen­te medievali e quindi crudeli e disumani.

Ma soprattutto un trattato la cui prima edizione fu curata da un certo Marco Coltelli­ni, tipografo in Livorno. Si­curamente Cesare Beccaria, che lo compose appena ven­tiseienne, ha avuto il merito di rispondere con il suo ca­posaldo della modernità giu­ridica, alle sempre più impel­lenti necessità sociali, evi­denziate dagli Illuministi, di cambiare lo stato delle cose rispetto all'allora sistema penale.

Ed è tutto merito dell'auto­re, infatti, l'aver divulgato per la prima volta insegna­menti che portarono all'abo-

 

lizione della pena di morte, in un periodo in cui la prati­ca della tortura era ancora di quotidiano utilizzo. E per farlo scelse il fervore cultu­rale della Livorno dell'epo­ca, affidandosi alla tipogra­fia Coltellini, appunto, ubi­cata presso il Bagno dei for­zati, un grande edificio che si innalzava nell'attuale pa­lazzo del Governo, tra il por­to e piazza Grande.

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Nato a Montepulciano nel 1724, Marco si dedicò in gioventù agli studi ecclesia­stici e fu nominato abate, ma ben presto violò il celibato sposandosi, così che la sua carriera religiosa ebbe bre­ve vita. Dal matrimonio nac­quero quattro figlie, una delle quali, Celeste, divenne un noto soprano. Coltellini ini­ziò a Livorno la professione di editore acquistando, nel 1762, una preesistente stamperia. Delle varie opere da lui pubblicate fanno par­te testi di una certa rilevan­za intellettuale quali, appun­to, il trattato di Beccaria, stampato in forma anonima nel 1764 e la terza edizione dell'Encyclopédie ou Dic­tionnaire raisonnè des Sciences des Arts et des Métiers di Diderot e D 'Alembert. Nella Livorno di fine '700 si era sviluppa-

 

ta, difatti, una fiorente edi­toria e gli argomenti trattati erano spesso mal tollerati dalle gerarchie ecclesiastiche ma tuttavia accettati dalle autorità granducali lorenesi. Non va infatti dimenticato che la Toscana di Pietro Le­opoldo di Lorena fu, nel 1786, il primo stato nel mon­do ad abolire la pena di mor­te, proprio in onore alle tesi sostenute dal Beccaria, in cui ilfilosofo e giurista milane­se manifestava la sua ferma condanna verso la tortura e dichiarava l'importanza fon­damentale della riabilitazione del carcerato.

" ...in carcere ho ritrovato ogni volta il senso e le ra­gioni del mio impegno — ha dichiarato in un post sul pro­prio profilo Facebook, An­drea Raspanti, l'attuale as­sessore al Sociale e ai Diritti — dare voce a chi non ne ha, difendere e promuovere il di­ritto contro la violenza, l'ar-

 

bitrio e la sopraffazione, pre­tendere dalle istituzioni che rispettino per prime la lega­lità che devono far rispetta­re ai cittadini....". E sicura­mente Andrea, a cui va tutta la mia stima in merito, è riu­scito ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla vita che quotidianamente si svolge oltre le mura del car­cere, sulle ingiustizie, sulle storie personali, riuscendo a vincere anche significative battaglie. Perché chi ha sba­gliato non venga ripagato con la stessa moneta, non smet­ta mai di credere nelle possi­bilità che può ancora offrire il mondo esterno, ma, anzi, abbia l'opportunità di rico­minciare una vita nuova. Come 250 anni fa aveva ri­flettuto Beccaria, il primo ad evocare nella sua opera il mondo dei prigionieri e ad aver creduto che la via giu­sta da intraprendere fosse

un' altra ...

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