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La rivalità tra Livorno e Pisa ebbe inizio nel lontano 1107…

Che fra livornesi e pisani non corra buon sangue è cosa nota, sottolineata dai derby calcistici.

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Che fra livornesi e pisani non corra buon sangue è cosa nota, sottolineata dai derby calcistici. A metà degli anni Quaranta i dirigenti del Livorno arrivarono a fuggire in barca lungo l’Arno per evitare il linciaggio dei pisani, mentre il 30 marzo 1959 è passata alla storia per la gigantesca rissa all’Arena Garibaldi tra nerazzurri e amaranto: il tutto prese lo spunto al 70’ quando l’arbitro chiamò i capitani delle due squadre per constatare la praticabilità del campo, reso zuppo dalla pioggia e ulteriormente allagato da un idrante (volontariamente) lasciato aperto. I livornesi, avanti per 2-0, affermavano che si poteva continuare a giocare mentre i pisani erano, ovviamente di parere contrario. Quando l’arbitro, pressato dai padroni di casa, decise per la sospensione, ci furono manifestazioni di gioia di tutti i nerazzurri e dell’allenatore Mannocci. Ciò fece scattare la scintilla che dette vita alla gigantesca rissa, con colpi proibiti da una parte e dall’altra.

Altre scazzotate (e anche ombrellate) tra le due tifoserie “cugine” (?!?), proseguirono negli anni, con città messe a ferro e fuoco quando ancora non c’erano misure di sicurezza per gli ultrà. Grottesco, invece, l’episodio dell’estate del ‘94 quando le due tifoserie si sfidarono a colpi di gavettoni (e di sonori schiaffoni) nella spiaggia di Tirrenia, quindi anche al di fuori dei campi sportivi. Nel 2001 è ancora il derby a dividere le due tifoserie: la partita all’Arena Garibaldi fu addirittura sospesa perché i tifosi di casa iniziarono a smontare i seggiolini della gradinata e a buttarli in campo per protesta contro la propria squadra che stava perdendo, tra la soddisfazione (e gli applausi) dei tifosi amaranto presenti all’Arena.

Come noto tutto nasce da un evento storico scatenante. Nel 1107 il vescovo di Pisa concesse ad una famiglia storica, la Orlandi, un castello e le abitazioni che vi erano nate intorno dando nome al borgo “Livorna”: questo riusciva a sostenersi solo con il collegamento con l’ambito porto di Pisa, allora una delle quattro Repubbliche marinare. Ma con l’andare del tempo i rossocrociati persero forza e prestigio fino alla sconfitta definitiva del 1284 contro Genova

      proprio alla Meloria, torre al largo di Livorno.

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Con la fine dell’impero pisano, così, i Signori di Firenze (Medici e Lorena) decisero di fare di quel piccolo borgo di poche case uno dei principali porti del Tirreno ed emanarono le famose Leggi Livornine (1591-1593) con cui si invitavano mercanti, perseguitati politici e religiosi, ma anche galeotti a cui sarebbe stata annullata la pena, ad approdare a Livorno per farne una città e un porto fiorente. Da quel momento nacque la rivalità, continuata nel tempo fino ai giorni nostri.

Da allora ormai i modi di dire ed i proverbi si sprecano: “meglio un morto in casa che un pisano all’uscio” dicono i labronici, “le parole le porta via il vento, le biciclette i livornesi” rispondono sotto la Torre. Per i primi i pisani sono “gosti” (contadini sempliciotti), mentre per i secondi i livornesi sono “ghiozzi” o “ciuccialische” (persone che hanno l’obiettivo solo di andare al mare).

Lo sberleffo più celebre fu quello dopo il disastro di Chernobyl del 1986: ci riferiamo alla locandina del Vernacoliere che titolava: “Nuvola Atomia - Primi spaventosi effetti delle radiazioni - è nato un pisano furbo”.

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In occasione dell’ultimo derby calcistico, però, Mario Cardinali, lo storico direttore dello stesso Vernacoliere,  ha evidenziato come fra le due città esista addirittura una diversità antropologica, che dipende da fattori storici: “I pisani sono veri toscani che hanno sempre “puppato” il latte da guelfi e ghibellini, mentre i livornesi sono nati da una “cacciuccata” di etnie nel Cinquecento. Per questo i primi sono stati padroni o servitori di padroni mentre i secondi sono dissacranti ed anarcoidi”.

Tra Quattro Mori e Torre, scogli e sabbia, Modigliani e Galilei, dé e gaò la differenza sarebbe addirittura cultural-sociologica?

Secondo il Cardinali: “I pisani hanno avuto la sventura di essere i toscani più vicini ai livornesi, ma i livornesi con la Toscana non c’entrano niente, sono “a-toscani”: i veri toscani sono cattivi, scontrosi mentre i livornesi vivono in un mondo tutto loro perché nati da una cacciuccata di razze e quindi sono accoglienti e soprattutto dissacranti. Il livornese non ha difficoltà a mandare a quel paese il Papa o il re, mentre i pisani non ce l’hanno nel dna”.

E’ stato anche scritto che i livornesi volgono le spalle alla terra - ed alla Toscana - perché solo il mare attira il loro sguardo e la loro attenzione, a differenza dei pisani che, malgrado le loro origini, risultano assai più radicati al loro territorio.

Possibile dunque che due città così vicine e, nello stesso tempo, così diverse costituiscano addirittura due aree antropologiche distinte?

In proposito torna utile uno studio mirato a definire una possibile area antropologica pisano-livornese (“Vocalismo tonico dell’area pisana e livornese: aspetti sto-

    rici, percettivi, acustici”, Silvia Calamai, 1999-2009) ben resocontato da un articolo della stessa autrice sul n. 33 (Gennaio-Marzo 2001) della rivista livornese COMUNE NOTIZIE.

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Lo studio ipotizza una possibile coincidenza per il fatto che la realtà pisana fu caratterizzata sino al ‘500 da peculiarità simili alla lucchese, dalla quale si allontanò con la conquista dello Stato pisano da parte dei Medici mentre nelle vicinanze sorgeva una città spregiudicata ed aperta, giovane e nuova.

Per la parte storica del lavoro, è stato ispezionato il maggior numero possibile di fonti scritte ove potesse comparire anche solo un accenno all’area pisana e livornese, e sono stati schedati i tratti usati per descriverla dal punto di vista linguistico, laddove questi tratti fossero chiaramente interpretabili.

Le fonti utilizzate sono di varia natura e rivestono un diverso peso specifico con addirittura un sommerso difficilmente classificabile scritto da personaggi locali, su riviste, giornali, opuscoli, locandine di spettacoli e glossari senza pretese di scientificità.

La schedatura dei materiali raccolti ha fornito il punto di partenza per l’elaborazione di due questionari molto diversi tra loro ma in un certo senso complementari: uno di tipo fonetico, l’altro invece ‘autovalutativo’, sui quattro campi di Pisa, Cascina, Livorno e Cecina (la tipicità del dialetto parlato nel quartiere Venezia era già stata notata nella seconda metà dell’Ottocento con un vocalismo particolare dotato di una certa forza di espansione anche nelle aree limitrofe da cui la scelta di compiere rilevamenti pure a Cecina).

Lo studio ha coinvolto soggetti diversi per sesso ed età in licei ed istituti tecnici e la conclusione ha sottolineato come il livornese ed il pisano non siano due parlate ma due aspetti della stessa (ora estroversa, ora garbata), differenziantisi soprattutto (tanto per chiudere in linea col Vernacoliere) nelle vocali: quelle dei livornesi sono talmente “spalancate” e “grasse” (“come panini ripieni”) da far pensare che la bocca dei livornesi, “se non ci fossero gli orecchi, andrebbe dall’altra parte”.

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