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Piazza Cavour, ieri e oggi

La data di nascita di piazza Cavour non è tanto lontana. Infatti Leopoldo II nel 1829 dette inizio ai lavori1 per l’abbattimento del bastione del Casone

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La data di nascita di piazza Cavour non è tanto lontana. Infatti Leopoldo II nel 1829 dette inizio ai lavori1 per l’abbattimento del bastione del Casone (in fondo a via Cairoli) e sul fosso  fece costruire un ponticello sul quale nel 1832 nacque la porta Leopolda, quasi subito abbattuta (1836), che immetteva a sud per creare un collegamento col sobborgo, dove erano sorte tante ville costruite dalla ricca borghesia. Sì, perché la zona era lontana dalle vecchie paludi e quindi salubre. Il Volpi parla addirittura di 36 ville proprio perché lì era il terreno più sano quindi più produttivo per l’agricoltura. Riccardo Ciorli scrive che tra il 1832 e il 1839 i fratelli Gragnani acquistarono l’area prospiciente il rivellino del Casone e qui furono costruiti i quattro palazzi centrali più rappresentativi della piazza.  Piazza che ebbe due allargamenti sul fosso, uno nel 1848 e l’altro nel 1862, assumendo la attuale forma rettangolare. Lo stemma sabaudo fu posto, nel 1862, sull’arcata che guarda il Ponte Novo. 

Il monumento al Cavour fu eretto nel 1871 (4 giugno) ed è opera dello scultore Vincenzo Cerri, mentre il basamento è dell’architetto Arturo Conti e le quattro aquile agli angoli sono di Giovanni Puntoni. Tutti livornesi. è in quel 1871 che la piazza prese il nome del grande statista.

Quando si dice piazza Cavour viene subito alla mente il prestigioso Caffè Bardi, porto di mare, all’angolo con via Cairoli. I suoi divani e sgabelli ricoperti di velluto rosso, con larghe tracce di usura, ricoperti da dorsali di trina color giallognolo, i tavoli tondi o rettangolari di marmo, infissi al pavimento con piedi massicci, erano l’arredo. Ugo Bardi, il titolare, e Olinto, il cameriere, entrambi una vera istituzione. Nella sala interna, all’angolo sinistro, nacque il Gruppo Labronico: Gino Romiti, Mario Puccini, Gastone Razzaguta, Benvenuto Benvenuti ecc. Qui ammainava le vele anche Amedeo Modigliani. Nelle fredde sere invernali la piazza, attraverso i vetri appannati, sembrava avvolta nella nebbia. A mezzanotte quando il campanile del duomo cominciava i rintocchi, il sor Ugo (Ugo Bardi) diceva “Signori, si chiude”. E si chiudeva per davvero, ma qualche capannello si formava fuori del bar, sul marciapiede, e lì rimaneva fino a tardi sotto lo sguardo del conte Cavour. Il Caffè Bardi chiuse nel 1921, dopo 13 anni di attività,  e la “branca” si trasferì lì vicino, al “Caffè Le Colonne”, in via dei Carabinieri2.

Al primo piano di quell’edificio, sopra il Caffè Bardi,  studiò, privatamente, Guglielmo Marconi. Una targa ce lo ricorda. Un’altra targa nell’edificio di fronte per richiamare alla mente gli irredentisti    Guglielmo Oberdan, Cesare Battisti e Nazario Sauro. Il foro di un’arma da fuoco, al primo piano, con l’iscrizione “XI Maggio MDCCCXLIX a ricordare la difesa di Livorno dall’assedio degli Austriaci.

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Altro bar da ricordare è quello di A & O. Corradini, (1835)  ceduto poi ai fratelli Ambrosini, con belle sale al primo piano per le migliori degustazioni. L’ edificio, ahimè, è andato distrutto dalla guerra e ricostruito nel 1951. All’angolo di via Ginori la farmacia di Pasquale Crecchi che  partecipò alla battaglia di Curtatone. Diventerà farmacia Guarda.

Di fronte al Corradini, poi Ambrosini, il prestigioso bar Bristol, all’angolo con via dell’Indipendenza.  Era il ritrovo degli appassionati di lirica. All’angolo con via Ricasoli, dove oggi c’è la Fineco Bank,  intorno al 1925, un altro bar, il  Roma, frequentato da avventori giovani e molto sportivi, tifosi naturalmente del Livorno, ma anche accaniti scambisti delle figurine della Perugina-Buitoni. Già al tempo operava “Il Folletto”, con gli altri bar vero ritrovo della cultura labronica. Nella piazza si potevano apprezzare belle distese di tavoli dall’uno e dall’altro lato, insomma era un vero salotto, spazioso, accogliente, elegante.

Appena si entrava in via Ricasoli, al numero civico 2 trovavi il forno-pasticceria di Pisone Pacini, le cui quattro figlie erano talmente belle che “levavano ir fumo alle stiacciate”. Un’espressione che è rimasta proverbiale e che i più anziani usano anche oggi. Quelle schiacciate del Pacini rimanevano soffici per più giorni, ma il buon Pisone (1862-1925) portò con sé, nella tomba, il segreto. Lui inventò, si dice, anche il “pane di Vienna” e il “San Romano”.3

Durante il ventennio, qui in          piazza, ebbe sede la federazione del partito fascista

    al primo piano, sopra la farmacia Acquaviva. Da quel balcone imbandierato, sempre petti pieni di nastrini e medaglie, mentre i balilla, gli avanguardisti e i giovani fascisti, uniti nell’amor patrio, si dividevano fino allo scontro fisico per i ciclisti Binda e Guerra, allora protagonisti prima delle epiche battaglie tra Coppi e Bartali. 

I tramway (i filobus dal 1935) sferragliavano in piazza Cavour e nel centro cittadino, intanto giovani ragazze facevano passerella sotto lo sguardo dei gagà, che ostentavano capelli esageratamente imbrillantinati. Quelle giovani donne, a casa, cantavano “Parlami d’amore Mariù, tutta la mia vita siei tu”. Sì, il “sei” diventava “siei”. In quanto ai gagà, a loro non interessava  niente del crollo della borsa a Wall Street, loro aspiravano a concludere la serata al varietà e poi in qualche casa di tolleranza.

La piazza, si sa, è luogo di aggregazione per eccellenza. Qui i livornesi ascoltarono, via radio, il discorso di Mussolini che annunciava l’entrata in guerra. Qui, dopo gli eventi bellici e negli anni cinquanta, sono avvenuti vari scontri tra i manifestanti che entravano da via Ricasoli (provenienti dalla Camera del Lavoro di corso Mazzini) e la Celere che sbucava da via Cairoli. Successe anche nel ’56 durante il  famoso sciopero di  42 giorni del cantiere Orlando. Una volta furono aggredite anche le mogli degli operai del cantiere che vollero manifestare, senza l’autorizzazione.

Ci sono stati anche  momenti felici. Qui tutti gli anni, per Natale, veniva addobbato un albero altissimo, era anche la festa del vigile, e le auto  si fermavano e lasciavano un regalo. Dall’altro lato verso via Cairoli, al chiosco Balloni si radunavano centinaia di tifosi, speranzosi, per giocare la schedina del totocalcio il sabato sera, la schedina che poteva cambiare la vita. La domenica si radunavano, ancora lì, per vedere i risultati delle partite di calcio e per aspettare l’uscita de Il Giornalino che raccontava l’incontro del Livorno dopo appena mezz’ora dal termine. E se il risultato era favorevole alla squadra il buon Fausto Balloni e signora alzavano su un pennone la bandiera amaranto, un segnale che rincuorava subito i tifosi appena mettevano piede nella piazza con la tipica frase “Vai, oggi è andata bene c’è la bandiera”.

In piazza c’era la TETI,  dove ora c’è Vitaldent, e fuori, sul marciapiede,  la colonnina dei film in programmazione che poi fu spostata dall’altro lato della piazza davanti alla Deutsche Bank, che occupa i locali già della Banca d’Italia prima del trasferimento in piazza Civica. Dalla fine degli anni cinquanta, alla sera, la piazza si riempiva di giovani che facevano le vasche. Andavano da via Grande, all’altezza di Torricelli, fino all’Attias, tra le luci delle insegne dei negozi e il traffico, sempre più caotico, passando da piazza Cavour dove, in genere, sostavano e facevano capannelli. Tante chiacchiere, ma bastavano gli occhi addosso di una bella ragazza a passeggio e addio ai pettegolezzi sui professori, i compagni di classe sgobboni e le compagne racchie. Era il tempo dei capelli lunghi, del jukebox, del flipper, dei pantaloni a zampa d’elefante, del Taco Paco, del Ciucheba, del ciaino e anche della droga.

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Due parole sul Bristol. Fino al 1965-66 è stato un bar eccezionale, di grande eleganza, eleganza che poi è andata via via calando. I camerieri, in giacca bianca, erano  di alto livello: professionali, educati, riservati. Mai una  macchia sul candido abbigliamento. Ricordiamone un paio, Amedeo Corozzi e Enrico Minarelli, detto, chissà perché, Johnson. Qui veniva il sindaco Nicola Badaloni, spesso, e tutta la crema

     della città, ma non solo, e  le consumazioni avvenivano, al banco o ai tavoli,  tra  discussioni di  livello non comune. Sembrava di essere a scuola. Però, noi giovani di allora, con un forte bisogno di ribellione, ci tenevamo a debita distanza, preferivamo ambienti più alla bona, tipo da Giovanni (gli sfilatini al prosciutto e salsa verde erano davvero una bontà!) in via Ricasoli, e quelli dopo di noi anche il Wimpy.

Certo, il traffico intenso rendeva tutto il centro cittadino, e quindi anche la piazza, una camera a gas. Per molto tempo si è potuto, infatti, parcheggiare comodamente l’auto, a lisca di pesce, in mezzo alla piazza, sotto la statua. Con il piano del traffico, oggi la piazza è quasi tutta pedonale, percorribile solo dai mezzi pubblici da un lato. Le auto possono costeggiarla per un brevissimo tratto, transitando dagli scali Manzoni agli scali D’Azeglio, in genere per trovare il parcheggio. Possiamo dire, in tutta tranquillità, che la piazza oggi è libera dallo smog, però è anche vero che non ha più quella connotazione che i bar e i negozi di una volta la resero un autentico salotto, amato dai livornesi.

Oggi sembra un’incompiuta e di tanto in tanto riaffiora l’idea di renderla parzialmente trafficata facendo scorrere le auto lungo i fossi, in direzione via Maggi-scali Manzoni o anche scali d’Azeglio-scali Saffi. Basterebbe? Mah! Certo che noi livornesi senza le auto non siamo capaci di fare alcunché. E se cambiassimo un po’ le abitudini? Suvvia, ce la possiamo fare.

Il bar Cavour, a un dipresso dalla Lloyd Immobiliare, ha cambiato gestione (al momento è senza insegna). Sull’altro lato, il già citato bar Il Folletto;  tornò a nuova vita con la famiglia Lazzeri, che volle riprendere l’antico nome, a cavallo degli anni cinquanta-sessanta.  

Al posto del caffè Bardi c’è ora il Flying Tiger Copenaghen che vende casalinghi e articoli da regalo a basso costo. Due le farmacie, Acquaviva e Guarda. Il negozio di abbigliamento Milchstrasse insiste nel locali già di Marus, nell’edificio Gragnani, oggi di proprietà Fremura. E poi le Assicurazioni Generali, Ruffo Ottica, Sinphony, quindi City Istanbul. Alla attuale fermata dell’autobus, il Banco di Sardegna; qui al secondo piano, c’era il noto Istituto Tevenè, abilitato al sudato recupero degli anni scolastici. Era diretto dal famoso e temuto  maestro Garibaldo Tevené.

In via dell’Indipendenza, al numero civico 19, c’è ancora la Libreria Figlie di San Paolo, dove puoi acquistare libri religiosi, ma non solo. Già negli anni settanta potevi vedere in quegli scaffali libri come “L’alternativa, cambiare il mondo e la vita” di Roger Garaudy. Dico Garaudy, non Sant’Agostino. Una volta, pochi metri più in là c’era un altro momento di cultura: la Bottega d’Arte sempre affollata di pittori, quasi un’eco del vecchio Caffè Bardi. Qui è stata fino al 1985 e dal 1922 ospitò mostre personali, mostre antologiche e opere di artisti di tutta Italia. 

Con gli avambracci appoggiati pigramente alla spalletta, quella che in piazza Cavour  guarda il ponte san Benedetto,  ancora oggi si può ammirare il bel Mercato Centrale (1894) e di fronte la scuola elementare Antonio Benci (1893).  La chiesa olandese alemanna (1864) sta ancora miracolosamente in piedi, sia pure con le stampelle. I vecchi e inguaribili sognatori, se chiudono gli occhi, da quella spalletta possono vedere ancora il mitico teatro Politeama.

 

1 Il sovrano dispaccio era del 20.11.1828, ma i lavori, come scrive il Piombanti, iniziarono nel 1829;

2  da “Vecchie pagine sparse” di Alberto Razzauti;

3 da “I caffè storici di Livorno” di Ugo Canessa

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