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Quella volta che a San Siro sfiorammo il trionfo con i campioni del Milan

Della serie facciamoci del male, tanto male. Sì, perché parlare di una bella pagina sportiva, tra le più piacevoli del passato, quando il Livorno calcio naviga attualmente nell’inferno (nonostante la promozione a tavolino in serie D)

Di Luciano Canessa

Della serie facciamoci del male, tanto male. Sì, perché parlare di una bella pagina sportiva, tra le più piacevoli del passato, quando il Livorno calcio naviga attualmente nell’inferno (nonostante la promozione a tavolino in serie D) e qualche frattura tra società-sponsor e un gruppetto di sportivi sembra insanabile, vuol dire sofferenza. E’ un ovo sodo ingoiato con tutto il guscio e nello stomaco non va né su, né giù, come dice Piero nel film “Ovosodo” di Paolo Virzì.  Non me ne vogliano i  lettori se propongo una pagina da sogno, non si tratta di sado-masochismo, ma voglio provare a toccare il cuore e l’intelletto, a smuovere l’orgoglio degli sportivi, della società, degli sponsor, perché Livorno è la nostra vita, non solo alla partita. L’unione fa la forza, lasciamo alle spalle la via crucis. Il tempo per cambiare rotta non è scaduto. 

Dunque, la sera di sabato 11 settembre 2004 diecimila livornesi, secondo La Gazzetta dello Sport, erano a S. Siro, un migliaio in più sulle colonne de Il Tirreno, per assistere alla prima di campionato, Milan-Livorno, che vedeva il ritorno in serie A della squadra labronica dopo 55 lunghi, interminabili anni. Tutti i livornesi, novelli pirati in plancia contro la tempesta, avevano in capo una bandana, bianca o amaranto, con scritto “Silvio stiamo arrivando”, perché qualche giorno prima Berlusconi, allora Capo del Governo, aveva ricevuto Tony Blair e la moglie a Villa Certosa, in quel di Porto Rotondo, frazione di Olbia, e le  foto su tutti i giornali lo ritraevano con una bandana per coprire qualche trattamento particolare al cuoio capelluto. Da anni la curva nord dello stadio gli urlava offese di tutti i colori con un coro diventato famoso al tempo, perciò con il Livorno salito in serie A dopo oltre mezzo secolo (che festeggiamenti!) e con la partita inaugurale proprio contro il Milan di Berlusconi, campione d’Italia, sembrava il classico cacio sui maccheroni potergli fare quel coro a casa sua, alla Scala del calcio, con l’aggiunta fresca fresca della bandana. Berlusconi fece sapere di non poter essere presente alla prima di campionato per impegni indilazionabili di governo, ma nessuno gli credette. Sentirsi offendere da migliaia di persone a casa sua e non poter far nulla era troppo! Questo era, volere o volare, il conquibus. Pare avesse detto ad Ancelotti, allora allenatore del Milan, qualche giorno prima: “Carletto, uno, due passi falsi te li posso concede-

    re, ma contro quei comunisti  di Livorno, con in testa Lucarelli, devi vincere”.

L’immagine di S. Siro illuminata a giorno, con gli anelli che salivano al cielo, mozzò il fiato anche ai meno sensibili alle emozioni. Altro che Figline Valdarno o Tau Altopascio di recente memoria! Migliaia di bandiere e striscioni rosso-neri e amaranto che sventolavano, e accanto ai vessili la novità assoluta della bandane. Che atmosfera colma di emozioni! Fra i tanti striscioni, di taglia e colori diversi, anche vari Pisamerda nella più classica delle tradizioni, ma pure “Noi contro Kaka, i pisani a cacà’”.  Noi livornesi, cuore amaranto, abbiamo sempre saputo come ci si comporta allo stadio, salvo qualche eccezione, eccomone nissuno c’insegna nulla, e quella sera demmo una prova ulteriore del nostro carattere sanguigno e il poco rispetto per l’autorità, imputabile all’indole-porto-franco della città. Insomma, venne fòri l’Homo Labronicus! Del resto la nostra superiore fantasia lessicale ci viene riconosciuta ovunque in Italia.

Per i giornali, sportivi e non, il Livorno sembrava la vittima designata, eppure la maggior parte dei tifosi sotto i Quattro Mori, abituata a vincere nelle serie inferiori, sentiva dentro una forza indistruttibile; e comunque le maglie amaranto, pensavano, avrebbero sputato sangue in campo, quello è po’o ma si’uro.

La partita cominciò malissimo. Al 3° Seedorf stoppò un pallone a centrocampo e avanzò verso Amelia, poi con due finte da capogiro superò i difensori amaranto, come fossero birilli, e con una gran botta … ci bu’ò. Dopo 55 anni di assenza dalla A, il Livorno subiva un gran goal ad appena novanta secondi dal fischio d’inizio …del campionato! Alla faccia!

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Il clima d’assedio dei giocatori del Milan continuò. Perfino i più fiduciosi tifosi livornesi cominciarono a temere la goleada, ma quando tutto faceva pensare a una scampagnata fuori porta per i campioni d’Italia, accadde l’imprevisto. Al 7° Vigiani andò via in velocità in un corridoio e puntò il portiere Dida che gli si avventò, in uscita scomposta, sulle gambe. Vigiani gli fece sparire la palla e il suo inevitabile atterramento provocò al Milan due danni: rigore e espulsione. Cristiano Lucarelli prese subito la palla e la pose sul dischetto mentre Abbiati, che subentrò a Dida, ostentava sicurezza. Ma Cristiano non si lasciò intimorire e lo buggerò facendo scatenare dieci-undicimila bandane e andando col pugno chiuso sotto la curva degli ultras che subito intonarono quel coro contro Berlusconi preceduto da un “Ohhhhh....”. Che goduria. Altro che la gioia per il “gooool” di Marco Tardelli il quale a braccia aperte corse per il campo del Bernabeu in quel 1982, rendendo il suo urlo perfino più famoso di quello di Munch.

Con un uomo in più il Livorno prese coraggio e Pferzel costrinse Abbiati a una deviazione sulla traversa. Un miracolo. Ormai solo Seedorf incuteva timore, così il primo tempo si concluse sull’ 1 a 1.  Nell’intervallo i telefonini cellulari nella tratta Milano-Livorno e Livorno-Milano fecero impazzire l’etere. Così tanto il traffico che la linea  a volte saltava o non prendeva. La fiducia traboccava da quei cellulari: “Ce la facciamo, ce la facciamo”, “Cristiano leva ir fumo alle stiacciate, nemmeno Stam e Maldini ce la fanno!”

D’altra parte la squadra della città dove il “dé” suona (e come suona!) aveva il dovere di metter paura ai campioni d’Italia.

Giova ricordare che quella di inizio secolo era la Milano del berlusconismo, del nuovo complesso fieristico, del fresco centro direzionale, la Milano del grande potere economico, della ricca vita sociale, moderna, la Milano delle auto di grossa cilindrata con belle donne a bordo, la Milano dei cospicui conti correnti in banca, la Milano dei tanti “io” e dei pochi “noi” ecc. Milano e Livorno, insomma il solito scontro tra David e Golia. Molti di quei livornesi presenti quella sera allo stadio si sentivano Golia, altri, andando oltre nelle associazioni storico-politiche,

     si sentivano Spartaco, il gladiatore che guidò la rivolta contro Roma, ma i più si sentivano, ovviamente, Che Guevara.

All’inizio della ripresa Seedorf, sempre lui, ripetè la prodezza del primo tempo ai danni di Alessandro Lucarelli, che rimpiangeva il sole dei bagni Rosa di Tirrenia, e con un tiro al fulmicotone siglò la seconda rete: 2 a 1. Sembrava fatta, ma Cristiano al 22° su punizione da venticinque metri, complice anche una barriera da quattro amici al bar, rimise la questione in parità, mostrando ancora il pugno chiuso. E ancora il coro “Ohhhhh” seguito a ruota dal noto messaggio salmastroso a Berlusconi.

Livornesi padroni di S. Siro.  I giocatori del Milan, in inferiorità numeria, ormai erano lessi come i fagioli,  ma Balleri, subentrato a Giallombardo, si fece espellere per doppia ammonizione riportando la gara a dieci contro dieci, facendo imbestialire il presidente Spinelli per l’ingenuità. Però il Livorno, indomito, non si voleva arrendere e su calcio d’angolo, al 43’ del secondo tempo, mise in rete un altro pallone sempre grazie a Cristiano, ma il gol fu annullata dall’intervento del guardalinee Stefano Ayrolsi perché la palla calciata da Ruotolo su calcio d’angolo pare fosse uscita dal campo nel corso della traiettoria. Le riprese televisive dimostrarono però il contrario: si trattò di un grosso abbaglio dell’assistente, forse per quella sudditanza psicologica che penalizza le piccole squadre.

Insomma Cristiano-Che Guevara, l’uomo che alla Baracchina Rossa aveva rinunciato a un miliardo di vecchie lire per giocare nella città natìa, tre gol alla Scala del calcio li aveva fatti, tre gol ripeto, in barba al Cavaliere. E non in un match qualunque, ma nella prima partita di serie A dopo 55 anni. Puntuale come un orologio svizzero! Vieni Cristiano dammi cinque.

Al triplice fischio dell’arbitro un urlo di dieci-undicimila livornesi a festeggiare con i giocatori amaranto sotto la curva. Livornesi non più padroni solo di S. Siro, ma padroni del mondo. E chi aveva voglia di tornare a casa? “Si dorme qui stanotte, ’un ci si va a Livorno” .

Il deflusso dei livornesi dallo stadio fu in effetti lento che più lento non era possibile, era evidente la voglia di festeggiare e di ritardare il ritorno a casa. Te li cicchi i livornesi! Furono abbassate anche le luci dello stadio per invogliare l’uscita. I cellulari, intanto, erano tornati in funzione nella direzione Livorno-Milano, Milano-Livorno per ragguagliare gli amici e parenti sotto i Quattro Mori dei particolari che solo chi era a S. Siro poteva dare.

Usciti dallo stadio ci fu l’avvicinamento ai pullman e alle auto tra battute salaci e sfottò in un clima di felicità che sviluppò in qualcuno anche l’appetito, come quel tizio il quale, con la bandana in testa, raccontò che aveva detto alla moglie di preparare, lui stava arrivando, un piatto di spaghetti col ragù rigorosamente fatto in casa e ‘na ‘oscia di conigliolo arrosto colle patate.

Facezia o realtà, non è dato sapere se quella mogliettina gli abbia preparato la cena richiesta per l’una di notte, rimane il fatto che le cronache non parlarono di alcuna scazzottata quella sera a S. Siro. Il pareggione ultrameritato ottenuto in casa dei campioni d’Italia non era semplicemente il trionfo di una squadra di calcio, ma l’apoteosi di una città, perché la partecipazione dei tifosi, quella sera e negli anni immediatamente precedenti, fu l’esempio di un lavoro di gruppo, società e tifosi, mano nella mano verso un obiettivo comune, che produsse un miracolo: creò una sinfonia.

In quanto al ritorno in autostrada, in pullman o in macchina, con appetito o no fu una festa ininterrotta di clacson e di bandiere amaranto. Tutti afoni, per lo sgolamento di prima, durante e dopo la partita, ma felici. Altro che trasferte a Cenaia, altro che campi sportivi pollai.

Che bei tempi quelli! Che nostalgia! E se provassimo tutti insieme, uniti, a ripetere quel miracolo? Le cose belle accadono solo a chi le persegue con ostinazione. Concludo con una citazione del nostro Lamberto Giannini, che ebbe a dire in una intervista di qualche anno fa: “Livorno è una città che rende possibili le cose impossibili”.

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