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Stefano Pilato e il riciclaggio

Oggi abbiamo l’occasione e il piacere di incontrare, davanti ad un buon caffè, uno dei più noti artisti livornesi che operano sui temi del riciclo e nel campo delle arti visive: Stefano Pilato.

La storia di Stefano, che nasce a Livorno nel 1965 e vive e lavora in Toscana, risale già al 1987 quando ha deciso di intraprendere la libera professione dedicandosi alla grafica pubblicitaria e realizzando progetti per committenze pubbliche e private.

di Valentina Ferrucci

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Oggi abbiamo l’occasione e il piacere di incontrare, davanti ad un buon caffè, uno dei più noti artisti livornesi che operano sui temi del riciclo e nel campo delle arti visive: Stefano Pilato.

La storia di Stefano, che nasce a Livorno nel 1965 e vive e lavora in Toscana, risale già al 1987 quando ha deciso di intraprendere la libera professione dedicandosi alla grafica pubblicitaria e realizzando progetti per committenze pubbliche e private.

Noto soprattutto per la produzione artistica Pesce Fresco che ha sviluppato dal 1993, Stefano lavora raccogliendo tutto ciò che può essere trovato sulle spiagge dopo le mareggiate, in particolare il legno. Ciò che lo muove nella realizzazione delle sue opere è dare nuova vita ad oggetti già vissuti attraverso il riciclaggio: con abnegazione ed ironia, con esperienza grafico-pittoriche, l’artista esalta l’estetica di oggetti già usati per darne una nuova forma e dignità, trasformandoli in un pesce abissale o una balena bianca.

Stefano Pilato realizza anche installazioni, scultura, lampade, specchi, oggetti di scena e tanto altro.

“La mia formazione artistica - esordisce Pilato - mi ha sempre fatto vedere, anche a causa di una visione da grafic designer, l’oggetto-materiale che cerco di riutilizzare come un reperto che ha diritto di vivere un’altra vita in cui la dignità estetica, l’efficacia formale del design-progetto che lo contraddistingue, possa essere abilitata oltre la funzione per cui è nato, diventando parte di un pesce, di un bufalo o di un coccodrillo albino”.

Ci incuriosisce sapere come è nata questa sua attività. “Tutto è partito da una spiaggia vicino a casa, dopo una bella libecciata, raccogliendo alcuni pezzi di legno logoro, anzi erano già parti scomposte di un buffo pesce spada…”. Da una intensa e lunga conversazione con l’artista, comprendiamo che la fase della caccia al materiale sulle spiagge è un momento importante, anche se alle volte stancante.

“Fino a quando non ci sei non puoi sapere cosa il mare ti ha restituito: legno, plastica, metallo, materiali logorati dall’acqua, dal sole e dal vento, inizi ad osservare a 360 gradi poi ti cade l’occhio su un grosso ramo o su una tanica colorata, la casualità dei ritrovamenti è alla base dei possibili riutilizzi espressivi”

L’assemblaggio avviene poi con materiali provenienti da altri luoghi, come discariche, soffitte, magazzini, uffici, abitazioni di parenti, di amici: dovunque ci sia qualcosa di utile alla causa, porto via…“Sono tante le persone che conosco che mi portano in laboratorio oggetti che magari avrebbero buttato nel cassonetto e invece, visto il riuso che faccio di vecchie moka o di ferri da stiro, me li ritrovo davanti alla porta”.

“Questa alternanza del momento creativo è forse la più intima e inviolabile dimensione del mio lavoro che mi fa pensare e dire: che uomo fortunato sono”.

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L’attività di Stefano non si ferma qui: da alcuni anni, oltre a partecipare all’attività di varie associazioni artistiche locali, ha dato vita a significative collaborazioni con artisti nella realizzazione di installazioni in scala urbana, anch’esse il risultato di assemblaggi di oggetti rifiutati.

Stefano ci racconta che il suo “lavoro è fatto di intuito, dove a volte prevale istintività e altre volte la razionalità come retaggio delle mie esperienze di progettista”. Prosegue dicendoci che “tutto comunque si evolve nel piacere di un lavoro manuale, ricco di soluzioni estemporanee, ma anche di metodo acquisito, cercando continuamente nuovi stimoli anche dal punto di vista espositivo oltre a gallerie d’arte, musei, librerie, ristoranti sonosempre attratto da luoghi improbabili ritenendo importanti tuttigli ambienti contaminabili dalle mie opere. Le esperienze professionali sono per me fondamentalmente momenti di contatto e di scambio con le persone a cui tengo più di ogni altra cosa”.

Le esperienze professionali rappresentano per questo artista fondamentalmente dei momenti di contatto e di scambio con le persone a lui più care.

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L’attività di Stefano non si ferma qui: da alcuni anni, oltre a partecipare all’attività di varie associazioni artistiche locali, ha dato vita a significative collaborazioni con artisti nella realizzazione di installazioni in scala urbana, anch’esse il risultato di assemblaggi di oggetti rifiutati.

Stefano ci racconta che il suo “lavoro è fatto di intuito, dove a volte prevale istintività e altre volte la razionalità come retaggio delle mie esperienze di progettista”. Prosegue dicendoci che “tutto comunque si evolve nel piacere di un lavoro manuale, ricco di soluzioni estemporanee, ma anche di metodo acquisito, cercando continuamente nuovi stimoli anche dal punto di vista espositivo oltre a gallerie d’arte, musei, librerie, ristoranti sonosempre attratto da luoghi improbabili ritenendo importanti tuttigli ambienti contaminabili dalle mie opere. Le esperienze professionali sono per me fondamentalmente momenti di contatto e di scambio con le persone a cui tengo più di ogni altra cosa”.

Le esperienze professionali rappresentano per questo artista fondamentalmente dei momenti di contatto e di scambio con le persone a lui più care.

Intensa da questo punto di vista è stata la collaborazione che dal 1994 va avanti, in forme diverse con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Sanitaria Locale di Livorno, più precisamente con la Cooperativa sociale Blu Cammello per la quale ha condotto il laboratorio di comunicazione visiva rivolto a pazienti psichiatrici, promuovendo eventi, stage e workshop di formazione sull’arte marginale.

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