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Totò e Livorno

Non si sa perché Totò abbia inventato il celebre tormentone “Ho fatto tre anni di militare a Cuneo”, si sa invece che il giovane De Curtis ha trascorso gran parte dei tre anni della naja in Toscana: a Pisa, Siena ma soprattutto Livorno.

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Non si sa perché Totò abbia inventato il celebre tormentone “Ho fatto tre anni di militare a Cuneo”, si sa invece che il giovane De Curtis ha trascorso gran parte dei tre anni della naja in Toscana: a Pisa, Siena ma soprattutto Livorno. Nel 1914, al compimento dei 16 anni, Antonio Vincenzo Stefano Clemente (non ancora De Curtis) si arruolò volontario nel Regio Esercito, non per una sua propensione alla vita militare (e lo dimostrerà in seguito) ma più verosimilmente per la certezza di avere almeno un pasto al giorno.

Dal Distretto Militare di Napoli Totò venne assegnato al 22° Reggimento di Fanteria “Cremona” di stanza a Pisa. Il rigore della vita militare lo opprimeva, non tollerava i soprusi dei suoi superiori ed era refrattario a ogni comando e alla vita militare in genere.

Raccontò Totò durante un’intervista: «Le mie avventure di ginnasiale finirono assai presto, e ingloriosamente. Né si può dire, per la verità, che le mie esperienze militari abbiano avuto un esito migliore. Ero poco più che un ragazzo quando mi presentai, volontario, al Distretto. Fui assegnato al 22° Fanteria, di stanza a Pisa, e quindi distaccato a Pescia. Il rancio era una schifezza: brodo che sembrava acqua e pasta che sembrava colla. Allora, un giorno, sapete cosa faccio? Gioco all’equivoco, sissignori, gioco. A Pescia, dico, chi mi conosce? Vado dal barbiere, mi faccio fare la tonsura come un sacerdote e corro in trattoria. Là ci stava un amico mio al quale avevo già raccontato tutto. “Buonasera, reverendo - mi dice - si accomodi, si accomodi. Vedrà che qui si trova bene. Ho già pensato io a raccomandarla al padrone”. Mangiai, infatti, benissimo, e mi fecero anche uno sconto per riguardo al pastore d’anime. Andai avanti così per un pezzo, poi un giorno arrivò un cappellano militare (vero) e successe un quarantotto».

Poi scoppiò la Grande Guerra, e dai centri di mobilitazione ed addestramento i militari vennero destinati ai vari fronti di guerra. Antonio De Curtis venne trasferito al 182° Battaglione di Milizia Territoriale, unità di stanza in Piemonte e destinata a partire per il fronte Francese.

Prima della partenza il loro comandante di battaglione li avvertì che avrebbero dovuto dividere gli alloggiamenti con un reparto di soldati marocchini dalle note, e temute, strane abitudini sessuali. Totò rimase terrorizzato e alla stazione di Alessandria improvvisò un attacco epilettico per essere ricoverato all’ospedale militare e non partire verso la Francia.

I medici militari gli credettero, non fu processato per simulazione d’infermità ma tenuto in osservazione all’Ospedale Militare per un breve periodo di tempo.

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Da lì sarebbe poi passato all’88° Reggimento Fanteria “Friuli” di stanza a Livorno. La leggenda vuole che proprio in questo periodo coniasse il motto destinato a diventare celebre: “Siamo uomini o caporali?”, stufo dei continui soprusi perpetrati nei suoi confronti da parte di un graduato ottuso, a cui probabilmente non andava tanto a genio quel soldatino napoletano che entrava ed usciva dagli ospedali militari con patologie cardiache e nevrotiche sempre abilmente simulate per restare in retrovia.

A quanto pare nella città labronica Totò si trovò a suo agio, visto che riuscì a portare a termine il servizio militare.

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Fuori della caserma, però, era tutta un’altra cosa. Il giovane De Curtis conobbe una certa signora Siria che abitava in via De Larderel (quella che va dal Cisternone al

      Voltone, oggi piazza della Repubblica) e che gli affittò una stanza dove poteva riposarsi un po’ e togliersi la divisa per mettersi degli abiti civili per uscire la sera ed andare a cena o a teatro (anche a esibirsi al “Centrale” o al “Margherita”, pare): c’era insomma spazio per un po’ di divertimento.

Sembra che nel 1933, diventato famoso, quando tornò a Livorno per le rappresentazioni della rivista “Se quell’evaso fossi io”, Totò si sia recato in via De Larderel per salutare la signora, ma la ragazza che venne ad aprire gli disse che sua madre era morta anni prima.

«Rientrai nella vita civile con il bagaglio della mia esperienza militare», così Totò conclude il capitolo livornese nella sua autobiografia. E la vendetta contro il caporale si concretizzò nel 1955: la regia del film fu affidata a Camillo Mastrocinque ma Totò, in questo caso, non si limitò al ruolo di attore e collaborò attivamente alla sceneggiatura.

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Quello stesso anno a Livorno vennero girate alcune scene del film “Il coraggio”, diretto da Domenico Paolella e tratto da un lavoro teatrale di Augusto Novelli, alla cui sceneggiatura lavorarono Marcello Marchesi, Riccardo Mantoni (fratello del più noto resentatore Corrado), Marcello Ciorciolini e lo stesso Totò, che ne era protagonista assieme a Gino Cervi.

Anche se il film è ambientato a Roma, le riprese (a parte la scena del salvataggio dal Tevere di Gennaro Vaccariello, il personaggio interpretato da Totò) sono state effettuate nei teatri di posa Pisorno di Tirrenia, con alcune scene in esterni a Livorno, presso uno dei villini eclettici sul lungomare (via Randaccio 2, nel film via Marcello Marchesi) e presso il “Supergarage” di via Fiume 19, dove s’intravede una Fiat 1400 targata LI.

Per l’industria tessile Paoloni sono stati utilizzati il viale d’ingresso e la palazzina uffici dei teatri di posa, oltre ai locali delle Maglierie Artigiane Riunite (M.A.R.) di via Salvatore Orlando a Livorno.

Anche l’aula consiliare di Palazzo Civico è stata usata per la scena in cui Aristide Paoloni (Gino Cervi) finalmente riesce ad aggiudicarsi un appalto.

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Non era la prima volta che Totò veniva a Livorno: già nel 1943, infatti, la nostra città fece da sfondo per due scene di “Due cuori fra le belve”, film che venne fortunosamente concluso e distribuito a cavallo dell’armistizio dell’8 settembre, per poi venire rieditato e nuovamente messo in circolazione nel 1948 con il nuovo titolo di “Totò nella fossa dei leoni”.

Le scene in questione furono girate in piazza Grande e al Porto nel settembre 1942 e hanno un eccezionale valore documentale in quanto si possono vedere i Tre Palazzi che sorgevano tra il Municipio e via del Porticciolo, edifici che pochi mesi più tardi sarebbero stati irrimediabilmente danneggiati durante i bombardamenti aerei alleati che misero in ginocchio la città.

Lo stesso si può dire anche del Porto: in un’inquadratura ripresa dalla poppa della nave in partenza per una spedizione in Africa si vedono molti edifici che furono bersaglio delle “Fortezze Volanti”. Nella stessa scena, anche in questo caso, si riesce a scorgere la sigla LI sulla targa di un’automobile.

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Come racconta il compianto Piero Gambacciani nel suo “Otello Bacci – Un livornese alla corte di Totò” (Editrice Il Quadrifoglio, Livorno, 2010), fu proprio, nel 1949, l’arrivo in città della rivista “Bada che ti mangio!” (scritta da Michele Galdieri e Antonio De Curtis e messa in scena dalla Compagnia Spettacoli Errepi di Remigio Paone, che presenta la Grande Compagnia di Riviste Totò-Barzizza-Giusti) a permettere all’artista livornese di continuare a lavorare dopo che gli americani avevano ridotto la loro presenza ed era stato costretto a sciogliere la sua orchestra. Otello Bacci riu-

    scì a incontrare Totò e a farsi ingaggiare come ballerino. Fu l’inizio di un lungo sodalizio artistico e anche di una profonda amicizia. Quando la compagnia faceva tappa a Livorno c’era sempre, per la “passerella” di fine spettacolo, un posto d’onore per Otello Bacci che riceveva gli applausi dei suoi concittadini.

Un po’ per la vita militare, un po’ per averci recitato davanti alle cineprese o sul palcoscenico, Livorno aveva evidentemente conquistato un posticino nel cuore di Totò, che spesso la ricordava in battute pronunciate in film che sono fra i suoi più celebri, come in “Totò e Cleopatra” quando nel ruolo di Marco Antonio, nella stanza del trono viene circondato da quattro imponenti soldati neri ed esclama: «Perbacco! Io li conosco a questi! Questi sono i Quattro Mori che stanno in piazza Grande a Livorno» e più tardi, alla regina che gli propone un baccanale all’egiziana, Totò risponde: «Sempre baccanale all’egiziana, mai che mi facessero un tocchettino di baccanale alla livornese».

Anche in “Totò lascia o raddoppia”, nelle vesti di concorrente risponde a una domanda di Mike Bongiorno citando San Siro di Milano, le Cascine di Firenze e l’ippodromo Ardenza, esibendo un accento livornese.

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