Editrice il Quadrifoglio
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Mensile di Attualità-Arte e Spettacolo rigorosamente Livornese
Quando Via della Madfonna e Via San Francesco cambiarono nome
Era la fine del 1901 quando via della Madonna e via S. Francesco cambiarono no- me. Cos’era successo? Gli ultimi anni dell’ottocento erano stati travagliati, i più difficili dopo la proclamazione del Regno d’Italia. La grave emergenza economica che attanagliò il paese determinò crisi di governo a catena, senza creare dubbi ai governanti sull’opportunità di cimentarsi nelle conquiste coloniali.

Era la fine del 1901 quando via della Madonna e via S. Francesco cambiarono no- me. Cos’era successo? Gli ultimi anni dell’ottocento erano stati travagliati, i più difficili dopo la proclamazione del Regno d’Italia. La grave emergenza economica che attanagliò il paese determinò crisi di governo a catena, senza creare dubbi ai governanti sull’opportunità di cimentarsi nelle conquiste coloniali.
A Livorno, afflitta da sovraffollamento negli alloggi, pessime condizioni igieniche, scarsi controlli dei generi alimentari e inadeguato approvvigionamento idrico, scoppiò l’epidemia di colera nel 1893-94. Al Cantiere Orlando e altre fabbriche cittadine intanto si licenziava, il prezzo del pane saliva così come gli affitti delle case. Il 5 maggio 1898 ci fu l’assalto dei forni con gravi incidenti, tanti ricoveri ospedalieri, numerosi arresti, qualche morto. Questo era il clima.
E i detentori del potere? E l’opposizione? E la Chiesa?
Già accennato all’incapacità dei governanti di dare risposte adeguate al caroviveri. Per quanto concerne la Chiesa, il vescovo di Livorno Leopoldo Franchi, nel 1895, subito dopo il colera, sparò a zero contro il 1° maggio, la festa degli operai; non solo, si lasciò andare anche al dileggio: “…E questa chiamarono e chiamano Festa degli Operai. Ma, di grazia, che festa è mai, o dilettissimi, che festa è mai?”.
Il vescovo Giulio Matteoli, che gli subentrò alla morte, durò in carica solo un anno e non creò screzi con la cittadinanza, ma monsignor Sabatino Giani di Ponte a Cappiano (Fucecchio), vescovo di Livorno dal maggio 1901, fece scoppiare un caos. Non solo non volle partecipare alle cerimonie per l’anniversario della morte di re Umberto I, ma al XVIII congresso cattolico di Taranto, nell’agosto 1901, affrontò lo spinoso argomento dei rapporti tra Stato e Vaticano auspicando il ritorno del “Papa-Re”. Giunta tale notizia a Livorno, il 7 settembre, la Società di Mutuo Soccorso Garibaldini e Reduci affisse un manifesto che concludeva “…Pugnammo per rendere l’Italia unita e libera e deploriamo che vi sia chi in veste di agnello la insulta e la dilania”.
Dura anche la replica delle logge massoniche livornesi che chiesero l’espulsione del vescovo con questo proclama: “Se costui, appena giunto nella nostra città, affermò stolti propositi di martirio e nell’insania del suo cervello medita ora e invoca la rovina della Patria, troppo a lungo fu cortese e tollerante il popolo livornese… la Massoneria, denunciando pertanto l’insulto recato dal vescovo alla Patria e riconsacrandosi al fatidico grido di Roma o morte, invita tutti i cittadini, senza distinzione di partito, ad apporre la loro firma sulla petizione che verrà tosto diretta al Presidente del Consiglio dei Ministri per reclamare l’espulsione da Livorno dell’inconsulto pastore” . Si formò un “Comitato Anticlericale” a Livorno e il fatto diventò di rilevanza nazionale. Il ministro degli interni Giolitti convocò i prefetti di Livorno e Lecce (Taranto, allora, faceva parte di quella provincia) per saperne di più. Giolitti, con diplomazia, giudicò le parole del Giani una divagazione “teologico-ecclesiastica” e fece presente al prefetto di Livorno, Annaratone, di non poter prendere in considerazione l’ordine del giorno di Livorno, inoltre invitò a fare riferimento alla circolare del guardasigilli laddove si proibiva “l’uso delle chiese per riunioni estranee al culto”.


Livorno, fortemente laica, piena di garibaldini, mazziniani, anarchici, massoni, con un partito socialista in crescita, respinse sdegnosamente la diplomazia giolittiana. Così il Consiglio Comunale, su proposta del Comitato Anticlericale, mise all’ordine del giorno nella seduta del 25 ottobre 1901 il cambiamento di nome di alcune vie cittadine. La via della Madonna si sarebbe intitolata a Giordano Bruno e la via S. Francesco a Galileo Galilei. La Giunta Esecutiva provò a far passare uno schema di delibera accomodante (si erano individuate altre vie cui cambiare il nome, via del Seminario e via dei Condotti), ma il tentativo andò fallito.
Il cambiamento dei toponomi stradali, per ragioni anticlericali, era diventato una consuetudine in Italia. Lo scontro Regno d’Italia-Vaticano era acceso, sempre rinfocolato da episodi, come quando il 20 settembre 1886, anniversario della breccia di Porta Pia, re Umberto I definì Roma “intangibile conquista”. Le celebrazioni del 20 settembre non trascorrevano mai senza intemperanze e questo ovunque. A Padova, è Pietro Vigo che ce ne parla, giunsero a bruciare in quel 1886 le immagini di papa Leone XIII e a Lucca una ordinanza ministeriale proibì il settimo congresso dei cattolici italiani che là avrebbe dovuto svolgersi, motivandolo con le cattive condizioni sanitarie, giustificazione non ritenuta valida. A Bergamo, è ancora il Vigo nella sua “Storia degli ultimi trent’anni del secolo XIX”, si volle mutare il nome alla via Prato in via Venti Settembre. A Livorno era già avvenuto, infatti nel settembre 1881 era stato dato nome “Venti Settembre” alla piazza che prima si chiamava San Benedetto, dal nome della omonima chiesa. Sempre in quel 1886, nell’agosto, il ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Diego Taiani, espulse i padri della “Compagnia di Gesù” dalla chiesa di S. Gaetano, in Firenze, che Leone XIII aveva reintegrato nel mese di luglio. Un clima politico pesante, non c’è che dire.
Padre Saglietto, parroco di S. Ferdinando in Crocetta, criticò aspramente, in quel 1901, il cambiamento dei nomi a Livorno, dicendo che la proposta non voleva essere di “riverenza” verso Giordano Bruno e Galilei, ma era solo dimostrazione dell’odio verso la religione cattolica. Si mossero anche i cattolici livornesi, più precisamente i democratici cristiani che da tempo si chiedevano sull’opportunità di tenere in piedi ancora il non expedit di Pio IX, cioè il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica. Essi, invece, desideravano partecipare alla vita politica nel Paese, così per la prima volta molti di loro si presentarono in consiglio comunale per protestare quel 25 ottobre. Il provvedimento del cambiamento del nome fu approvato dal consiglio comunale nonostante la protesta, ma ormai il movimento dei democratici cristiani era una realtà.
Dallo studio di don Renato Roberti -“Introduzione storica al Sinodo della Chiesa Livornese” - si evince che nel 1901 era nato a Livorno un gruppo di cattolici chiamato “Lega del Lavoro” con 400 iscritti, poi nel gennaio 1902 nacque la prima sezione femminile della “Lega Cattolica del Lavoro” con lavoratrici corallaie, straccivendole, infermiere, sarte ecc., ed in seguito la “Unione professionale degli impiegati”. E così in tante parti d’Italia. In Veneto, i clericali operarono meglio che altrove e, con un’azione lenta ma costante, conquistarono la pubblica amministrazione: municipii, opere pie, casse rurali, giornali, banche ecc. Il Vaticano dovette prenderne atto e nel 1919 papa Benedetto XV abolì, finalmente, il non expedit.
Poco dopo, nel novembre 1925, durante il fascismo che istaurò la politica del doppio binario con i cattolici, Livorno ripristinò i nomi di via della Madonna e via S. Francesco e attribuì il nome di G. Galilei a via dei Riseccoli. Era evidente l’intendimento politico. In quanto a Giordano Bruno, a Livorno c’era già una piazza a lui titolata ed era l’attuale piazza dei Domenicani, perciò il suo nome non scomparve del tutto, o meglio scomparve più tardi, nel 1938. Oggi esiste una strada con tale nome a Fiorentina, dal 1949.
Comunque sia chiaro che la tendenza a cambiare nome alle strade e piazze è tipica di ogni epoca. Per esempio, a Livorno nel dicembre 1918, quindi non sotto il fascismo, anche se certe idee nazionaliste erano largamente seguite e si parlava, in certi ambienti, “in modo religioso” della guerra, fu cambiato il nome a tante strade. Così via della Tazza diventò via Piave, via dei Materassai si trasformò in via Monte Grappa, via del Giardino in via Fiume, via del Cupido in via Tre Novembre; nacque anche via Vittorio Veneto e vicino a via Trieste, alla Stazione, nacque via Trento. Tutti nomi che sono arrivati fino ad oggi.
