Beppe Orlandi, fine dicitore, chansonnier, attore: un camaleonte!

27 Dic 2023 | Autore: Bruno Damari, PERSONAGGI

“E’ già tre volte ‘he sona la sirena / Siemo senza carbone e nun c’è vino / Anche stasera siemo senza cena / Si fa le ‘orse ‘ntorno al tavolino”.

E’ Li sfollati, la commedia in tre atti di Beppe Orlandi e Gigi Benigni, la più amata, insieme a La ribotta a Montinero, dai livornesi di una volta. Sì, di una volta, perché dubito che i giovani di oggi e anche i meno giovani conoscano il grande Beppe, tutti presi come sono da facebook e whatsapp, poco avvezzi alla storia e ancor di meno a quella locale.

Permettete se, presuntuosamente, cercherò di parlarne un po’ sfruttando la mia lunga amicizia con suo figlio Pier Luigi, per tutti “Gigi”, laureato in scienze politiche e diplomato in composizione al Conservatorio Boccherini, e che fu, peraltro, suo pianista personale.

Beppe era di Montenero e il colle ha avuto un grande peso nella la sua formazione, è stato la fucina del suo teatro, con le ville dei nobili di inizio novecento e le contesse da una parte e dall’altra le popolane che andavano a fare le “ottobrate” intorno a tavolate di fiaschi di vino, a rondemà, e bistecche “svenute”, cioè fuori dal piatto, tanto erano grandi.

In realtà, prima le popolane dovevano rompere il “bussolo”, dove avevano raccolto i risparmi tutto l’anno. “Ci siei anche te nel bussolo?” sentivi dire in piazza Cavallotti e al Mercato Centrale. Era una festa al femminile, senza uomini, sia chiaro, doveva essere infatti la risposta ai mariti che gozzovigliavano sempre tutto l’anno.

Nato nel 1898, Beppe Orlandi salì sul palcoscenico giovanissimo. La prima testimonianza scritta della sua attività teatrale, con la filodrammatica montenerese, risale al 1909 ed appare sul giornale cattolico “Fides”. Poi cominciò a suonare la batteria, a fare il presentatore ai Pancaldi, al Corallo. Guardava la piazza, le popolane, il loro gesticolare, il loro dialetto. Una volta imitò una donna che faceva la calza, con uno scialle in testa. Fu un successo strepitoso e quel personaggio non lo abbandonò più.

Si perché erano tempi in cui gli uomini stavano poco in famiglia, vuoi per motivi di lavoro, vuoi perché dal vinaio, ed ecco che le donne dovevano provvedere a tutto, all’educazione dei figli e a gestire la casa. Così era allora.

Beppe ha rappresentato quelle donne perché ne fu colpito in profondità e siccome donne in grado di interpretare quel ruolo non ce n’erano (Tina Andrei verrà più tardi) ecco spuntare uomini in abiti femminili che nel tempo furono Gigi Benigni, Gino Lena, Giacomo Tabellini, Bruno Vivaldi, Carlo Carpitelli, Aldo Bagnoli ecc.

In quanto al linguaggio, beh, non poteva essere che quello usato da quelle popolane, cioè il vernacolo. Eppure con il vernacolo uscì dalle locali mura medicee e lorenesi per proporsi e farsi apprezzare in tante località toscane, raccontando la vita quotidiana, la guerra, la fame (quante volte l’ha raccontata!), la condizione femminile, i mestieri, senza mai drammatizzare, secondo lo spirito livornese.

Beppe, innamorato della sua città, fu il creatore del teatro vernacolare, un teatro mai triviale o sboccato. Allusivo, certo, anche spesso, pieno di sottintesi, ma lontano dal turpiloquio che a lui ha fatto seguito, oltretutto con interpreti che usano nel parlare una cadenza che

    spesso, fai fatica a riconoscere come livornese.

Fu fine dicitore, chansonnier, attore, un camaleonte. Il suo legame con Livorno non venne mai meno ed è per questo che a un certo momento rinunciò alle proposte di Odoardo Spadaro e Carlo Dapporto. Stava troppo bene a Livorno e non valeva rischiare fuori.

La ribotta a Montinero fu la sua prima commedia importante, importante tanto quanto Li sfollati del 1945. Altre opere furono La h’iesta, La gita turisti’a, La ‘asa aperta, L’asiati’a, Il palio marinaro, La Pia De Tolomei, Li spiriti in casa della pizzi’ata, La paura fa 90, Ir’ fidanzamento aristocrati’o.

Un’altra indimenticabile commedia, All’ospidale:

“E girala la rota,

son piena di malanni,

aspetto la mi’ figliola

che mi venga a portà ‘ panni”.

Beppe Orlandi, fine dicitore, chansonnier, attore: un camaleonte!

Beppe ha rappresentato quelle donne perché ne fu colpito in profondità e siccome donne in grado di interpretare quel ruolo non ce n’erano

Condividi

“E’ già tre volte ‘he sona la sirena / Siemo senza carbone e nun c’è vino / Anche stasera siemo senza cena / Si fa le ‘orse ‘ntorno al tavolino”.

E’ Li sfollati, la commedia in tre atti di Beppe Orlandi e Gigi Benigni, la più amata, insieme a La ribotta a Montinero, dai livornesi di una volta. Sì, di una volta, perché dubito che i giovani di oggi e anche i meno giovani conoscano il grande Beppe, tutti presi come sono da facebook e whatsapp, poco avvezzi alla storia e ancor di meno a quella locale.

Permettete se, presuntuosamente, cercherò di parlarne un po’ sfruttando la mia lunga amicizia con suo figlio Pier Luigi, per tutti “Gigi”, laureato in scienze politiche e diplomato in composizione al Conservatorio Boccherini, e che fu, peraltro, suo pianista personale.

Beppe era di Montenero e il colle ha avuto un grande peso nella la sua formazione, è stato la fucina del suo teatro, con le ville dei nobili di inizio novecento e le contesse da una parte e dall’altra le popolane che andavano a fare le “ottobrate” intorno a tavolate di fiaschi di vino, a rondemà, e bistecche “svenute”, cioè fuori dal piatto, tanto erano grandi.

In realtà, prima le popolane dovevano rompere

      il “bussolo”, dove avevano raccolto i risparmi tutto l’anno. “Ci siei anche te nel bussolo?” sentivi dire in piazza Cavallotti e al Mercato Centrale. Era una festa al femminile, senza uomini, sia chiaro, doveva essere infatti la risposta ai mariti che gozzovigliavano sempre tutto l’anno.

Nato nel 1898, Beppe Orlandi salì sul palcoscenico giovanissimo. La prima testimonianza scritta della sua attività teatrale, con la filodrammatica montenerese, risale al 1909 ed appare sul giornale cattolico “Fides”. Poi cominciò a suonare la batteria, a fare il presentatore ai Pancaldi, al Corallo. Guardava la piazza, le popolane, il loro gesticolare, il loro dialetto. Una volta imitò una donna che faceva la calza, con uno scialle in testa. Fu un successo strepitoso e quel personaggio non lo abbandonò più.

foto-060.jpg

foto 10.jpg

foto-5.jpg

Si perché erano tempi in cui gli uomini stavano poco in famiglia, vuoi per motivi di lavoro, vuoi perché dal vinaio, ed ecco che le donne dovevano provvedere a tutto, all’educazione dei figli e a gestire la casa. Così era allora.

Beppe ha rappresentato quelle donne perché ne fu colpito in profondità e siccome donne in grado di interpretare quel ruolo non ce n’erano (Tina Andrei verrà più tardi) ecco spuntare uomini in abiti femminili che nel tempo furono Gigi Benigni, Gino Lena, Giacomo Tabellini, Bruno Vivaldi, Carlo Carpitelli, Aldo Bagnoli ecc.

In quanto al linguaggio, beh, non poteva essere che quello usato da quelle popolane, cioè il vernacolo. Eppure con il vernacolo uscì dalle locali mura medicee e lorenesi per proporsi e farsi apprezzare in tante località toscane, raccontando la vita quotidiana, la guerra, la fame (quante volte l’ha raccontata!), la condizione femminile, i mestieri, senza mai drammatizzare, secondo lo spirito livornese.

Beppe, innamorato della sua città, fu il creatore del teatro vernacolare, un teatro mai triviale o sboccato. Allusivo, certo, anche spesso, pieno di sottintesi, ma lontano dal turpiloquio che a lui ha fatto seguito, oltretutto con interpreti che usano nel parlare una cadenza che

    spesso, fai fatica a riconoscere come livornese.

Fu fine dicitore, chansonnier, attore, un camaleonte. Il suo legame con Livorno non venne mai meno ed è per questo che a un certo momento rinunciò alle proposte di Odoardo Spadaro e Carlo Dapporto. Stava troppo bene a Livorno e non valeva rischiare fuori.

La ribotta a Montinero fu la sua prima commedia importante, importante tanto quanto Li sfollati del 1945. Altre opere furono La h’iesta, La gita turisti’a, La ‘asa aperta, L’asiati’a, Il palio marinaro, La Pia De Tolomei, Li spiriti in casa della pizzi’ata, La paura fa 90, Ir’ fidanzamento aristocrati’o.

Un’altra indimenticabile commedia, All’ospidale:

“E girala la rota,

son piena di malanni,

aspetto la mi’ figliola

che mi venga a portà ‘ panni”.

https://www.facebook.com/v2.4/plugins/page.php?adapt_container_width=true&app_id=304553036307597&channel=https%3A%2F%2Fstaticxx.facebook.com%2Fx%2Fconnect%2Fxd_arbiter%2F%3Fversion%3D46%23cb%3Df279c4d2dbe6814%26domain%3Dwww.livornononstop.it%26is_canvas%3Dfalse%26origin%3Dhttps%253A%252F%252Fwww.livornononstop.it%252Ff2e6861ef7407c4%26relation%3Dparent.parent&container_width=314&height=591&hide_cover=false&href=http%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2F2184147731816732&locale=it_IT&sdk=joey&show_facepile=true&show_posts=true&width=314

foto-1-4.jpg

foto-7-4.jpg

53545938_306125403384935_696126505757337

https://www.facebook.com/v2.4/plugins/page.php?adapt_container_width=true&app_id=304553036307597&channel=https%3A%2F%2Fstaticxx.facebook.com%2Fx%2Fconnect%2Fxd_arbiter%2F%3Fversion%3D46%23cb%3Df2fa1fb8a18481%26domain%3Dwww.livornononstop.it%26is_canvas%3Dfalse%26origin%3Dhttps%253A%252F%252Fwww.livornononstop.it%252Ff2e6861ef7407c4%26relation%3Dparent.parent&container_width=314&height=214&hide_cover=false&href=http%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2F188962738434536&locale=it_IT&sdk=joey&show_facepile=true&show_posts=false&width=314

post-59.jpg

foto-0021.jpg

foto-02555.jpg

INTERVISTE

Interviste a musicisti e cantanti

Raccolta di storie e interviste

(Leggi gli articoli….)

Interviste ad artisti livornesi

Arte, fotografia e scultura

(Leggi gli articoli….)

Interviste a personaggi famosi

Interviste e racconti di persone

(Leggi gli articoli….)

DISTRIBUTORI

LIVORNO NONSTOP

foto-025.jpg
foto-026.jpg

E poi: “Infermieraaaa…”, la parodia di una vecchia popolana ricoverata all’ospedale, per una scorpacciata di fagioli nel cantuccio. Chi non sa cos’è il cantuccio se lo faccia spiegare dai nonni, così almeno li farà contenti.

E “La cenciaia”?

“Quand’ ero piccolina nella fasce / Mi’ madre mi chiamava “belle ‘osce” / Ero discreta e sana come un pesce / Ora ciò le sporgenze tutte mosceeee”. Eccola la cenciaia. Donneee. Massì hai voglia d’urlà, ‘un ce n’è più di cenciii! Con questa fame si devessero mangiati anco velli. Del resto io ciavevo una vorta un gorfe tutto pieno di frittelle…’o, me lo mangiai per San Giuseppe. Poi ci bevvi sopra sette otto ponci … senza resto. ’ome mi sentivo bene!!!”.

Tante risate, certo, ma attraverso le popolane riusciva a strappare anche momenti di forte commozione e in questo era unico, perché è difficile commuovere in mezzo alle risate, ma in questo Beppe era inimitabile, lui era un artista. E tanti altri… piccini picciò.

Suo figlio Pier Luigi, Gigi, era convinto che La ribotta a Montinero e Li sfollati avevano un tale spessore artistico da essere paragonabili , in quanto a dignità, alle più importanti commedie fiorentine, genovesi o milanesi. “Però io sono di parte” ammetteva.

“’Un c’è più nulla di vero” diceva, tra l’altro, Beppe. “In via Tranquilli ‘un fanno artro ‘e letià, in via dei Fanciulli tutti vecchi a riscote la pensione, in via della Pace via via fanno le curtellate, in piazza dei Mille ‘un c è mai nessuno…”

Un grande livornese come Riccardo Marchi, autore dell’indimenticabile Via Eugenia 1900, nel 1957, in occasione della rappresentazione de La gita turistia, così scriveva”…in quegli anni, i più brutti, nacquero le Maschere del Teatro Vernacolo Livornese. La prima si chiamò Beppe Orlandi ed altri lo seguiro-

      no: e Gigi Benigni, maschera pure lui, le animò e, assieme ad un’altra estrosissima maschera che si chiamò Gino Lena, diede impulso a questo teatro nuovo armonizzando tante felici improvvisazioni. E fecero ridere un’intera generazione la quale, a giudicare dai casi, sembrava non potesse averne voglia… Loro seppero davvero spillare comicità da quei casi dolorosi e commossero perciò, ma senza dar tempo al singhiozzo di prendere la gola. Fedeli, senza saperlo, alla tradizione dell’antichità, quelle maschere nate dal popolo raggiunsero il maggior successo presentando talvolta uomini in veste di donna, ma senza turpitudini. Portarono anche il loro teatro fuori dalla cinta comunale e vennero da tutti considerati come autentici benefattori , portatori di bacilli di buonumore che, fra tanti micidialissimi, hanno il potere di allungare la vita”.

Beppe Orlandi, fine dicitore, chansonnier, attore: un camaleonte!

Beppe ha rappresentato quelle donne perché ne fu colpito in profondità e siccome donne in grado di interpretare quel ruolo non ce n’erano

Condividi

“E’ già tre volte ‘he sona la sirena / Siemo senza carbone e nun c’è vino / Anche stasera siemo senza cena / Si fa le ‘orse ‘ntorno al tavolino”.

E’ Li sfollati, la commedia in tre atti di Beppe Orlandi e Gigi Benigni, la più amata, insieme a La ribotta a Montinero, dai livornesi di una volta. Sì, di una volta, perché dubito che i giovani di oggi e anche i meno giovani conoscano il grande Beppe, tutti presi come sono da facebook e whatsapp, poco avvezzi alla storia e ancor di meno a quella locale.

Permettete se, presuntuosamente, cercherò di parlarne un po’ sfruttando la mia lunga amicizia con suo figlio Pier Luigi, per tutti “Gigi”, laureato in scienze politiche e diplomato in composizione al Conservatorio Boccherini, e che fu, peraltro, suo pianista personale.

Beppe era di Montenero e il colle ha avuto un grande peso nella la sua formazione, è stato la fucina del suo teatro, con le ville dei nobili di inizio novecento e le contesse da una parte e dall’altra le popolane che andavano a fare le “ottobrate” intorno a tavolate di fiaschi di vino, a rondemà, e bistecche “svenute”, cioè fuori dal piatto, tanto erano grandi.

In realtà, prima le popolane dovevano rompere

      il “bussolo”, dove avevano raccolto i risparmi tutto l’anno. “Ci siei anche te nel bussolo?” sentivi dire in piazza Cavallotti e al Mercato Centrale. Era una festa al femminile, senza uomini, sia chiaro, doveva essere infatti la risposta ai mariti che gozzovigliavano sempre tutto l’anno.

Nato nel 1898, Beppe Orlandi salì sul palcoscenico giovanissimo. La prima testimonianza scritta della sua attività teatrale, con la filodrammatica montenerese, risale al 1909 ed appare sul giornale cattolico “Fides”. Poi cominciò a suonare la batteria, a fare il presentatore ai Pancaldi, al Corallo. Guardava la piazza, le popolane, il loro gesticolare, il loro dialetto. Una volta imitò una donna che faceva la calza, con uno scialle in testa. Fu un successo strepitoso e quel personaggio non lo abbandonò più.

foto-060.jpg

foto 10.jpg

foto-5.jpg

Si perché erano tempi in cui gli uomini stavano poco in famiglia, vuoi per motivi di lavoro, vuoi perché dal vinaio, ed ecco che le donne dovevano provvedere a tutto, all’educazione dei figli e a gestire la casa. Così era allora.

Beppe ha rappresentato quelle donne perché ne fu colpito in profondità e siccome donne in grado di interpretare quel ruolo non ce n’erano (Tina Andrei verrà più tardi) ecco spuntare uomini in abiti femminili che nel tempo furono Gigi Benigni, Gino Lena, Giacomo Tabellini, Bruno Vivaldi, Carlo Carpitelli, Aldo Bagnoli ecc.

In quanto al linguaggio, beh, non poteva essere che quello usato da quelle popolane, cioè il vernacolo. Eppure con il vernacolo uscì dalle locali mura medicee e lorenesi per proporsi e farsi apprezzare in tante località toscane, raccontando la vita quotidiana, la guerra, la fame (quante volte l’ha raccontata!), la condizione femminile, i mestieri, senza mai drammatizzare, secondo lo spirito livornese.

Beppe, innamorato della sua città, fu il creatore del teatro vernacolare, un teatro mai triviale o sboccato. Allusivo, certo, anche spesso, pieno di sottintesi, ma lontano dal turpiloquio che a lui ha fatto seguito, oltretutto con interpreti che usano nel parlare una cadenza che

    spesso, fai fatica a riconoscere come livornese.

Fu fine dicitore, chansonnier, attore, un camaleonte. Il suo legame con Livorno non venne mai meno ed è per questo che a un certo momento rinunciò alle proposte di Odoardo Spadaro e Carlo Dapporto. Stava troppo bene a Livorno e non valeva rischiare fuori.

La ribotta a Montinero fu la sua prima commedia importante, importante tanto quanto Li sfollati del 1945. Altre opere furono La h’iesta, La gita turisti’a, La ‘asa aperta, L’asiati’a, Il palio marinaro, La Pia De Tolomei, Li spiriti in casa della pizzi’ata, La paura fa 90, Ir’ fidanzamento aristocrati’o.

Un’altra indimenticabile commedia, All’ospidale:

“E girala la rota,

son piena di malanni,

aspetto la mi’ figliola

che mi venga a portà ‘ panni”.

https://www.facebook.com/v2.4/plugins/page.php?adapt_container_width=true&app_id=304553036307597&channel=https%3A%2F%2Fstaticxx.facebook.com%2Fx%2Fconnect%2Fxd_arbiter%2F%3Fversion%3D46%23cb%3Df279c4d2dbe6814%26domain%3Dwww.livornononstop.it%26is_canvas%3Dfalse%26origin%3Dhttps%253A%252F%252Fwww.livornononstop.it%252Ff2e6861ef7407c4%26relation%3Dparent.parent&container_width=314&height=591&hide_cover=false&href=http%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2F2184147731816732&locale=it_IT&sdk=joey&show_facepile=true&show_posts=true&width=314

foto-1-4.jpg

foto-7-4.jpg

53545938_306125403384935_696126505757337

https://www.facebook.com/v2.4/plugins/page.php?adapt_container_width=true&app_id=304553036307597&channel=https%3A%2F%2Fstaticxx.facebook.com%2Fx%2Fconnect%2Fxd_arbiter%2F%3Fversion%3D46%23cb%3Df2fa1fb8a18481%26domain%3Dwww.livornononstop.it%26is_canvas%3Dfalse%26origin%3Dhttps%253A%252F%252Fwww.livornononstop.it%252Ff2e6861ef7407c4%26relation%3Dparent.parent&container_width=314&height=214&hide_cover=false&href=http%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2F188962738434536&locale=it_IT&sdk=joey&show_facepile=true&show_posts=false&width=314

post-59.jpg

foto-0021.jpg

foto-02555.jpg

INTERVISTE

Interviste a musicisti e cantanti

Raccolta di storie e interviste

(Leggi gli articoli….)

Interviste ad artisti livornesi

Arte, fotografia e scultura

(Leggi gli articoli….)

Interviste a personaggi famosi

Interviste e racconti di persone

(Leggi gli articoli….)

DISTRIBUTORI

LIVORNO NONSTOP

foto-025.jpg
foto-026.jpg

E poi: “Infermieraaaa…”, la parodia di una vecchia popolana ricoverata all’ospedale, per una scorpacciata di fagioli nel cantuccio. Chi non sa cos’è il cantuccio se lo faccia spiegare dai nonni, così almeno li farà contenti.

E “La cenciaia”?

“Quand’ ero piccolina nella fasce / Mi’ madre mi chiamava “belle ‘osce” / Ero discreta e sana come un pesce / Ora ciò le sporgenze tutte mosceeee”. Eccola la cenciaia. Donneee. Massì hai voglia d’urlà, ‘un ce n’è più di cenciii! Con questa fame si devessero mangiati anco velli. Del resto io ciavevo una vorta un gorfe tutto pieno di frittelle…’o, me lo mangiai per San Giuseppe. Poi ci bevvi sopra sette otto ponci … senza resto. ’ome mi sentivo bene!!!”.

Tante risate, certo, ma attraverso le popolane riusciva a strappare anche momenti di forte commozione e in questo era unico, perché è difficile commuovere in mezzo alle risate, ma in questo Beppe era inimitabile, lui era un artista. E tanti altri… piccini picciò.

Suo figlio Pier Luigi, Gigi, era convinto che La ribotta a Montinero e Li sfollati avevano un tale spessore artistico da essere paragonabili , in quanto a dignità, alle più importanti commedie fiorentine, genovesi o milanesi. “Però io sono di parte” ammetteva.

“’Un c’è più nulla di vero” diceva, tra l’altro, Beppe. “In via Tranquilli ‘un fanno artro ‘e letià, in via dei Fanciulli tutti vecchi a riscote la pensione, in via della Pace via via fanno le curtellate, in piazza dei Mille ‘un c è mai nessuno…”

Un grande livornese come Riccardo Marchi, autore dell’indimenticabile Via Eugenia 1900, nel 1957, in occasione della rappresentazione de La gita turistia, così scriveva”…in quegli anni, i più brutti, nacquero le Maschere del Teatro Vernacolo Livornese. La prima si chiamò Beppe Orlandi ed altri lo seguiro-

      no: e Gigi Benigni, maschera pure lui, le animò e, assieme ad un’altra estrosissima maschera che si chiamò Gino Lena, diede impulso a questo teatro nuovo armonizzando tante felici improvvisazioni. E fecero ridere un’intera generazione la quale, a giudicare dai casi, sembrava non potesse averne voglia… Loro seppero davvero spillare comicità da quei casi dolorosi e commossero perciò, ma senza dar tempo al singhiozzo di prendere la gola. Fedeli, senza saperlo, alla tradizione dell’antichità, quelle maschere nate dal popolo raggiunsero il maggior successo presentando talvolta uomini in veste di donna, ma senza turpitudini. Portarono anche il loro teatro fuori dalla cinta comunale e vennero da tutti considerati come autentici benefattori , portatori di bacilli di buonumore che, fra tanti micidialissimi, hanno il potere di allungare la vita”.

foto-028.jpg

La morte avvenne il 13 agosto 1963, per infarto. Un folla immensa accompagnò il feretro lungo le vie del centro cittadino sostando davanti alla sede della Posta, dove per quarant’anni aveva lavorato, per poi proseguire su, su fino al colle, al cimitero di Montenero da dove ammirare la sua amata Livorno. Beppe, da tempo, era tornato a vivere in via S. Giovanni, ma la sua ultima dimora volle fosse Montenero, dove era nato.

L’amico Gino Lena così scrisse:

“Guardo ‘r giornale e nun mi sembra vero,/è ‘na notizia che mi sòna strana:/è morto Beppe! ‘Vella popolana/che ‘nventò la Ribotta a Montinero./N’è passato der tempo per davvero:/quella figura andò tanto lontana,/perfino fori della su’ Toscana,/mostrando a tutti un popolo sincero. E se voi ‘veste ‘ose ‘un le pensate,/andate ‘varche vòrta a Montinero a vedé i lunedi dell’ottobrate,/e penserete, nun ci vor dimorto,/che se quello ‘he racconto è proprio vero/allora Beppe Orlandi nun è morto”.

A Beppe Orlandi è stata intitolata alla fine una bella strada, tra la via San Jacopo in Acquaviva e via Goito.