Galeazzo Ciano e Edda Mussolini: cosa si scrisse sul loro matrimonio.

27 Dic 2023 | Autore: Luciano Canessa, PERSONAGGI

A Livorno quando si dice Ciano si pensa subito a Costanzo, il ‘ganascia’, ma nel resto del mondo si pensa a Galeaz-

zo, il figlio, Ministro degli Esteri, che invece a Livorno era poco considerato, anzi era antipatico sia per l’aria altezzosa che per quella vocetta stridula che lo caratterizzava.

Galeazzo conobbe Edda Mussolini a Roma, al Teatro dell’Opera, alla fine del 1929. Furono presentati, si sorrisero, si parlarono, ci fu subito simpatia tra i due. Lui (27 anni) era un donnaiolo e a lei (20 anni) piacevano gli uomini. Edda stava per lasciarsi da un tal Pierfrancesco Mangelli, ragazzo di buona famiglia, col quale non legava; era allergica, diceva, perché le si gonfiavano le labbra quando lo baciava, ma prima di lui aveva avuto un flirt con un ragazzo ebreo, Dino Mondolfi.

Galeazzo e Edda si ritrovarono, sempre a Roma, il 27 gennaio del 1930 a un ballo di beneficenza presso il Grand Hotel e fecero coppia nelle danze. Decisero di ritrovarsi il giorno dopo al Golf Club, dove lei arrivò con i fratellini, Vittorio e Bruno. Nei giorni immediatamente successivi si ritrovarono senza i fratellini, finché il questore di Roma, dottor Bochini, imbarazzatissimo, andò a trovare Costanzo Ciano, a casa, per dirgli che doveva informare, gioco forza, Mussolini, di un fatto molto, troppo delicato. “Eccellenza, abbiamo l’alto onore di sorvegliare la signorina Edda Mussolini… se dovesse capitarle qualche cosa…”.

A Livorno si direbbe che la prese troppo ariosa, cioè con troppa prudenza e cautela, e infatti Costanzo non capì. Il questore se ne accorse e sempre titubante disse che Edda e Galeazzo si incontravano ogni sera, andavano a giro in macchina e poi facevano soste lunghissime. Costanzo, uomo di mondo, disse al questore di fare il suo dovere, di informare, naturalmente, il duce. L’agenzia Stefani annunciò il fidanzamento il 16 febbraio: “Oggi a Villa Torlonia, Sua Eccellenza il Capo del Governo, ha offerto un ricevimento in occasione del fidanzamento della figlia Edda con Galeazzo Ciano”.

“Il Telegrafo”, il giornale dei Ciano, scrisse “…Edda Mussolini ha scelto il suo sposo a Livorno…”.

Mussolini, quello che aveva sempre ragione, era felice perché stimava Costanzo e lo aveva nominato, segretamente, suo erede; era felice anche Caterina la mamma di Galeazzo, mentre Costanzo era dubbioso perché capiva, sì, che la carriera

    del figlio era assicurata, ma temeva le gelosie che alla lunga potevano prevalere. Scontenta era Rachele, la madre di Edda. A lei non era piaciuto Galeazzo e non lo nascose mai.

Le nozze si celebrarono il 24 aprile 1930, era un giovedi. Mussolini aprì la sua residenza al mondo politico e alla nobiltà romana. Seicento gli invitati, milleduecento gli agenti in borghese a controllare. Le donne in elegantissimi abbigliamenti primaverili, gli uomini in tight e cilindro. Erano presenti tutti i gerarchi con le rispettive consorti che i giornali presentarono come “Donna Rina… Donna Maria… Donna Nella…” ecc.. Cioè con la “d” di donna, maiuscola. Presente anche tanta nobiltà romana, elegantissima.

Il segretario del partito Augusto Turati c’era, ma nei giornali risultò in fondo agli articoli perché aveva detto a Mussolini, pochi giorni prima, che Costanzo Ciano era un ladro e aveva rubato pure parecchio. Risultato, le dimissioni (obbligatorie) del Turati erano ormai in agenda.

La chiesa fu quella di S Giuseppe, in via Nomentana, e quando uscirono, gli sposi passarono tra i “moschettieri del Duce” in uniforme nera, mentre sguainavano i pugnali formando un arco. Edda era in bianco con lo strascico, Galeazzo in tight e cilindro ed era impacciatissimo. Dopo il “sì” andarono in S. Pietro a cui seguì la colazione, per quaranta invitati, a villa Torlonia. Viaggio di nozze a Capri.

Per tutti era l’inizio di una novella.

Il Telegrafo” si compiacque scrivere: “Edda Mussolini è un fiore di grazia e di bellezza. Ha una educazione finissima compiuta in uno dei più apprezzati e aristocratici collegi d’Italia: lo storico collegio di Poggio Imperiale a Firenze”. Il quotidiano sottolineò, altresì, la identità di vedute politiche tra Mussolini e il ‘Costanzone’, Ministro delle Poste, Telegrafi e Comunicazioni. A questo, “Il Telegrafo” aggiunse un giustificato campanilismo, dicendo chiaro e tondo che i destini d’Italia erano vasti e lo erano anche quelli di Livorno.

I livornesi erano tutti convinti che Galeazzo aveva fatto un’assicurazione sulla vita; si dichiararono soddisfatti i fascisti autentici, tanti, e anche quelli che erano fascisti per convenienza o per quieto vivere, che erano poi la stragrande maggioranza. “Sai ‘osa, cè andato per iscusa a Roma il ganascia!”, “ Sììì… e cè andato a pettinà l’acciughe!”, “Bella lei, verò?”, “Bellaaa? …Bellaecoda!”, “Anche lui però bello, un pò antepatiino, ma bello”, “Ora lo vedi che ritorno cè alla città!” dicevano con convinzione.

     “E il centro tutto novo?” aggiungevano, riferendosi alla city made Ciano. “E l’ospidale novo che hanno ‘ominciato?”, “Dice ‘e fanno anco lo stadio di zecca”.

I “sovversivi”, a Livorno non erano pochi, attendevano tempi migliori. Molti di loro avevano già pagato con la vita nei primi anni venti (i fratelli Gigli, Luigi Gemignani Oreste Romanacci ecc), Ilio Barontini, arrestato, era poi fuggito all’estero nel ’29, e circa 1.500 livornesi nel ventennio passeranno sotto gli artigli del Tribunale Speciale con oltre duecentosessanta processi. Non dimentichiamo che Livorno era stata la città dei garibaldini e mazziniani, la città che, da sola, si era opposta agli austriaci, la città dei socialisti e degli anarchici, la città dove in piazza dei Domenicani, agli inizi del ’900, era nato il sindacato degli operai metalmeccanici e poi, pochi metri più in là, nacque il P.C. d’Italia. Lì nei pressi, guarda caso, c’era il carcere dove entrarono tanti antifascisti tra cui Sandro Pertini.

A quelli in carcere, o al confino o esuli all’estero devono aggiungersi quelli, meno “pericolosi”, che stavano in città, ma erano “schedati”. Quando arrivava a Livorno il re o il duce o c’erano manifestazioni del regime, i camerati andavano a prelevarli a casa e li tenevano in guardina per qualche ora o qualche giorno, facendo loro assaggiare alcune prelibatezze della casa.

C’è un episodio, quasi sconosciuto, che va ricordato. Correva il 1927, il 4 settembre, alcuni operai “rossi” e anarchici del Cantiere Orlando la fecero grossa, ma proprio grossa: sabotarono il varo dell’incrociatore “Trento” (che con i suoi 196,96 metri risultò all’epoca la più lunga nave da guerra costruita in Italia) e alla presenza delle più alte autorità, perfino il re e la regina (immaginatevi la faccia di Costanzo!), inneggianti, la nave si mosse appena, ma non scese in mare. Fu rinviata la festa, tutti a casa. Uno smacco terribile. Si appurò che era stata messa la sabbia nel sego per cui la nave si era incagliata, non poteva scivolare in mare.

Naturalmente fu tenuta nascosta la verità. “Il Telegrafo” non scrisse nulla su come erano andate veramente le cose.

Il varo fu fatto, in sordina, un mese dopo e l’ing. Orlando inviò a Mussolini il seguente telegramma: “Con viva commozione comunico V.E. che regia nave Trento arrestatasi sullo scalo il quattro settembre per incidente non prevedibile è scesa…”.

Ma torniamo a Edda e Galeazzo. La prima notte di matrimonio fu una tragedia secondo i ricordi di Edda tanto che, la mattina, ancora dolorante, dopo un prematuro bagno di mare, dovette recarsi in ospedale. Ebbero tre figli: Fabrizio, detto Ciccino, Raimonda, detta Dindina, e Marzio, detto Mowgli.

Edda era una donna moderna, fumava, beveva, portava i pantaloni e al mare indossava il due pezzi. Era anche intelligente e per una donna è sempre stato un problema. Sopportò i tradimenti del marito, donnaiolo patentato. Era stata male, da piccola, per le infedeltà del padre, e ora, dopo un periodo di dolore per gli inganni del marito, riuscì a viverli più freddamente, ripagandolo, poi, con la stessa moneta. Tra i veri e i presunti flirt ricordiamone uno certo, Emilio Pucci, rimasto con lei anche nei giorni più duri, prima di diventare uno dei più grandi stilisti d’Europa.

Ma quando Galeazzo fu messo in prigione e condannato alla fucilazione, Edda mostrò tanto coraggio e determinazione affrontando, come meglio non poteva, tutte le situazioni per cercare di salvare il marito, scontrandosi con suo padre e sua madre, dialogando con i tedeschi, utilizzando anche i Diari di Galeazzo come arma di ricatto. Edda conosceva Hitler e a lui non si rapportò mai con timore reverenziale, mentre suo padre, Benito, annuiva sempre al Furher, succube com’era della sua personalità.

Resta da dire che Galeazzo (“tutto era salvo che un vero fascista” scriverà Renzo De Felice, studioso e teorico del fascismo) morì davanti al plotone di esecuzione con grande dignità, mentre il suocero, Benito, prima cercò di scappare travestito da soldato tedesco, poi morì piagnucolando tra le braccia di un’altra donna tosta. La Petacci, Clara Petacci.